TIGELLIO è il più antico poeta sardo, storicamente attestato, vissuto nel 1° secolo a.C.
La sua figura è avvolta nelle nebbie della leggenda.
Il suo nome e cognome è Tigellio Ermogene, e il nome latino unito al cognome greco testimonia il fatto che ci troviamo di fronte ad uno schiavo liberto e, per un sardo, non solo era difficile diventare un liberto, ma, addirittura, uno schiavo, perché, quando venivano deportati dai Romani per essere esposti al miglior offerente nel mercato degli schiavi, i Sardi non venivano scelti, in quanto considerati brutti.
La sua libertà, era stata conquistata per meriti letterari, infatti si tratta di un poeta improvvisatore che, oltre alla grande amicizia con Giulio Cesare, poteva vantare, anche quella con Mecenate, i cui palazzi erano, per Tigellio, sempre aperti.
Di lui non ci è pervenuto alcun componimento, ma sappiamo che i suoi canti erano dedicati, in massima parte, a Bacco.
Disprezzato oltre modo da Orazio, ma, soprattutto, da Cicerone, il quale nutriva una grande avversione nei confronti dei Sardi e della Sardegna e al quale dobbiamo, fin dalla sua ‘’Oratione pro Scauro’’, le famose, sprezzantemente razziste, locuzioni: ‘’mastrucati latrones’’, ‘’pelliti testes’’, dove i Sardi venivano definiti prepotenti e testardi, mentre le donne non erano reputate, secondo lui, in grado di stuzzicare gli appetiti sessuali dei Romani (sic).
Cicerone considerava i Sardi persone ignoranti, perché non parlavano bene il latino, ignorando il loro lato caratteriale che li porta a rifiutare qualsiasi cosa imposta dall’esterno, prima di averla metabolizzata.
Sempre Cicerone considerava i Sardi, inclini alla menzogna, confondendo con volgari bugie, le loro capacità narrative, che in ogni tempo, hanno espresso con poeti e narratori di razza, che, proprio per questo, godevano e godono di grande prestigio sociale.
Il considerare i Sardi come grandi bugiardi, raggiunge, però, il culmine con Le False Carte di Arborea.
Quando tre grandi eruditi sardi, Salvatorangelo De Castro, Pietro Martini e il Canonico Giovanni Spano con la complicità di frate Cosimo Manca di Pattada e dell’archivista cagliaritano Ignazio Pillito, decidono, con grande perizia letteraria, di dare origini mitiche alla Sardegna, come è avvenuto per tutte le nazioni del mondo, a cominciare dalla Grecia e da Roma.
Il che suscitò le ire del tedesco Theodor Mommsen che si fiondò immediatamente in Sardegna a certificare la falsità di dette Carte.
Amante del lusso sfrenato Tigellio, ma generosissimo tanto da essere, spesso, a corto di soldi, ma non per questo intristito, o preoccupato, dato che era in grado di condurre anche una esistenza grama.
Lo si poteva vedere, per le vie di Roma antica, quando non dormiva, correre a perdifiato senza alcuna ragione, oppure camminare lento e assorto.
Autentica creatura della notte, che trascorreva vegliando e dando sfogo alle sue doti artistiche, Tigellio, si accompagnava, di frequente, a ballerini, interpreti di farse oscene, procacci suonatrici di flauto, mendicanti, ciarlatani, buffoni, truffatori, donne di facili costumi: tutte persone che godevano delle sue generose elargizioni.
Il suo corteo funebre venne descritto, a causa della presenza dei suoi amici, tra il malinconico e il ridicolo.
Era irremovibile nelle sue decisioni e neanche Giulio Cesare in persona riusciva a smuoverlo; decideva lui quando cantare e quando smettere.
Ebbe il merito di far conoscere il ‘’canto a tenore’’ sardo presso i Romani e di accompagnare i suoi canti con le ‘’launeddas’’.
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