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API E MIELE – Fondamentali per la primaria funzione di salvaguardia della biodiversità

In Sardegna la produzione negli ultimi 20 anni si è ridotta in maniera significativa

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Di Sandra Marongiu

“Il miele è una sostanza che cade dall’aria, specialmente al sorgere delle stelle e quando si incurva l’arcobaleno” (Aristotele)

 

La produzione italiana di miele copre appena il 50% del consumo nazionale. In Sardegna, numeri riportati dalla Banca Dati Apistica, operano 1767 apicoltori, 939 in autoconsumo (al di sotto dei 10 alveari) e 828 professionali per un totale di 66.773 alveari.

Nelle campagne italiane sono oltre 1,5 milioni gli alveari curati da 60.000 apicoltori, di cui circa 15.000 professionisti detengono oltre 80% del patrimonio apistico.

 

Secondo Fai, la presenza di alveari sul territorio genera in Italia circa 2 miliardi di euro di valore della produzione delle colture di interesse agro-alimentare, cui si deve aggiungere quello dell’apporto eco sistemico che le api garantiscono con il servizio di impollinazione, alla biodiversità dei nostri ambienti naturali, stimato in 150 miliardi di euro.

In Sardegna come nel resto d’Italia, la produzione del miele negli ultimi 20 anni si è ridotta in maniera significativa.

 

Sono due fondamentalmente le cause che hanno determinato questo calo: inquinamento ambientale e cambiamenti climatici.

 

L’inquinamento ambientale colpisce in particolare le api e in linea generale gli impollinatori, uccidendoli in maniera diretta e soprattutto indiretta, avvelenando alveari e indebolendo le api e quindi riducendo la capacità produttiva.

Le api devono affrontare sfide come l’uso indiscriminato di pesticidi, la perdita di habitat e l’invasione di parassiti come la varroa destructor.

Altro fattore che sta incidendo e condizionando la produzione sono gli effetti dei cambiamenti climatici: la siccità o il troppo caldo, le gelate primaverili o le troppe e lunghe piogge anticipano o posticipano le fioriture senza una secrezione nettarifera sufficiente alla raccolta.

 

La presenza delle api rappresenta un indicatore rilevante dello stato di salute dell’ambiente.

La loro opera è fondamentale per la primaria funzione di salvaguardia della biodiversità e nel lavoro degli agricoltori con l’impollinazione delle colture ortofrutticole e sementiere.

Si calcola che una singola ape visiti in genere circa 7.000 fiori al giorno e ci vogliono quattro milioni di visite floreali per produrre un solo chilogrammo di miele percorrendo una distanza pari a 3 volte il giro della terra.

 

Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), 3 colture alimentari su 4 dipendono per resa e qualità dall’impollinazione dalle api, tra queste ci sono le mele, le pere, le fragole, le ciliegie, le angurie ed i meloni.

Sensibilizzare sull’importanza degli impollinatori, sul loro contributo allo sviluppo sostenibile e sulla necessità di fermare la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi che rischia di portarli all’estinzione: è questo il senso della Giornata mondiale delle Api istituita dal 2018 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

La Slovenia aveva proposto che il 20 maggio fosse la Giornata mondiale delle api. Così è stato. La scelta non è casuale.

A maggio, l’emisfero settentrionale vede le api e la natura svilupparsi e rinascere dopo l’inverno, mentre nell’emisfero meridionale comincia l’autunno, quando vengono raccolti i prodotti del loro lavoro e inizia la stagione del miele.

Inoltre, il 20 maggio è la data di nascita di Anton Janša (1734–1773), apicoltore sloveno, pioniere dell’apicoltura moderna e una delle più grandi autorità in materia di api.

 

Api e miele hanno una storia antichissima.

 

E’ documentata la presenza di piante che producono nettare e polline fin da 150-100 milioni di anni or sono. Le prime api compaiono da 50 a 25 milioni di anni fa, insieme ai primi esemplari di primati.

Le prime tracce che testimoniano l’uso del miele da parte dell’uomo, il quale probabilmente se ne cibava fin dalle origini, sono databili a circa 10 mila anni fa. Una pittura rupestre scoperta nei pressi di Valencia, in Spagna: sembra mostrare un uomo che si arrampica sulla cima di un albero.

E‘ circondato da api in volo, dotato di una sorta di cesta per riporre i favi sottratti alle api.

 

La più antica testimonianza dell’allevamento vero e proprio delle api risale a una pittura egiziana, rinvenuta nel Tempio del Sole, vicino al Cairo, del 2400 avanti C., in cui si può osservare l’operazione di prelievo dei favi dagli alveari con l’uso del fumo.

Il miele nell’Antico Egitto era inizialmente un cibo di lusso, una prerogativa reale e divina.

 

Tra il III e il II secolo avanti Cristo si manifestò un vivo interesse per l’apicoltura.

Aristotele, nel trattato De Generatione Animalium, tenta la prima descrizione anatomica delle api e avanza un’ipotesi sulla formazione del miele: “il miele è una sostanza che cade dall’aria, specialmente al sorgere delle stelle e quando si incurva l’arcobaleno” …

 

Nell’ antichità il miele, nell’alimentazione, era utilizzato come dolcificante, come condimento, e come conservante.

Insieme al latte, costituiva un alimento dato ai bambini delle fasce sociali più alte.

Ma l’uso del miele si estendeva alla cosmesi (olii aromatici, profumi) e alla medicina, come antisettico, cicatrizzante, purgativo, fino all’artigianato (immersioni per dare brillantezza al colore porpora dei tessuti o alle pietre preziose).

 

Se nell’ambito del Mediterraneo era diffusa un’apicoltura basata sull’uso di arnie orizzontali (di materie vegetali o di coccio), nel Nord Europa e in Russia si sviluppò “un’apicoltura forestale”: gli sciami, alloggiati in alberi d’alto fusto, venivano periodicamente ripuliti del miele, con l’aiuto di scale di corda.

Ancor oggi questa tecnica primordiale è praticata in regioni della Russia, come il Bashkortostan.

 

La tecnologia della produzione rimarrà sempre uguale a se stessa fino a metà dell’Ottocento, fino cioè alla scoperta dello “spazio-ape”, lo spazio fisso di 9 mm che le api lasciano per distanziare le loro costruzioni (e permette il passaggio di due api simultaneamente), che portò all’invenzione dell’arnia moderna a favi mobili, dove era possibile non solo studiare la vita delle api, ma anche ottimizzare la raccolta del miele senza ricorrere all’uccisione delle api.

Solo a partire da inizio Novecento si iniziò a concentrarsi maggiormente sul miele e sulle sue diverse tipologie.

Fino ad allora le distinzioni erano basate su osservazioni visive o di gusto.

 

Negli anni ‘20 in Italia iniziò a farsi largo il concetto di miele uniflorale e della necessità di distinguere il miele in base al tipo di fiore da cui veniva prodotto.

Solo negli anni ‘70, però, iniziano a essere eseguite le prime analisi sui pollini e sui e sui residui pollinici per capire il fiore di provenienza del miele.

 

L’interesse nei confronti del miele e delle sua specificità è stato talmente tanto da spingere alla creazione di appositi corsi di analisi sensoriale e concorsi per individuare i mieli qualitativamente migliori.

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