Nella notte delle stelle è morta Michela Murgia per un carcinoma al quarto stadio. Aveva 51 anni ed era molte cose: scrittrice, drammaturga, attivista, femminista… Ma, soprattutto, era profondamente e infinitamente Sarda.
Brillante e intensa come il sole della sua isola, tenace come il granito, sferzante come il maestrale, libera come il mare. Narratrice di storie come gli abitanti della sua terra, creativa come la cultura e le tradizioni della sua Sardegna.
I suoi figli dell’anima, di cui tutti i giornali parlano, incarnano infatti un’antica consuetudine al 100% sarda: i fillus de anima. Una pratica tradizionalmente diffusa in diverse parti dell’isola, che prevedeva l’affidamento volontario di uno o più figli, da parte dei genitori biologici, ad altre coppie con cui vi erano rapporti di parentela, di comparatico (comari e compari) o di vicinato.
Una prassi che in Sardegna era ancora viva al momento dell’introduzione del nuovo diritto di famiglia (1975) ed è stata gradualmente abbandonata, sopravvivendo nella memoria di chi ne ha fatto direttamente o indirettamente esperienza, proprio come Michela. Lei, infatti, si definiva «una figlia moltiplicata», dicendo: «Non sono stata figlia due volte ma due figlie diverse: per la famiglia d’origine e per la famiglia che poi mi ha accolta», nel suo caso gli zii.
Anche la protagonista del suo romanzo Accabadora, vincitore del Premio Campiello 2010, è una figlia dell’anima, generata «dalla povertà di una donna e dalla sterilità dell’altra». Infatti, la decisione di far crescere un figlio o una figlia in un nucleo familiare diverso da quello di nascita rappresentava una sorta di patto di mutuo soccorso: da una parte, nella famiglia biologica, vi era una condizione di difficoltà materiale, economica, relazionale o sociale, e dall’altra nella famiglia acquisita vi era di solito l’assenza di figli propri, vissuta talvolta come un problema ma soprattutto come uno spazio di accoglienza.
Dei fillus de anima di Michela sappiamo che Francesco è diventato un cantante lirico, Alessandro insegna all’Università di Yale, Michele è un attivista e su Riccardo non si hanno informazioni, ma ha pubblicato su Instagram una foto che lo ritrae insieme a Michela accompagnata dalla frase «Maestra, amica, sorella, madre. Shalaf’amin, nin lind tuiad cerain»(saluto che riecheggia un linguaggio elfico, forse legato ai giochi di ruolo amati dalla scrittrice).
Certamente Michela può essere fiera delle pagine che ha contribuito a scrivere nella vita di questi ragazzi come madre della loro anima e come portatrice sana di cuore sardo.
Immagine dal web: https://biografieonline.it