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SARDEGNA SIMBOLICA – Buon Natale, anzi Bona Paschixedda (prima parte)

Una rubrica dedicata alla spiritualità del popolo sardo

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Di Lorella Marietti

Nella lingua sarda il Natale è chiamato la piccola Pasqua o anche Pasqua di Natale, “Pasca de Nadale” o “de Navidade”, mentre la festa pasquale vera e propria è la Pasqua grande, “Sa Pasca manna”, o anche “Pasc’abrile” in riferimento al diverso mese. Da dove nasce questa particolare terminologia che sembra unire le due feste?

 

Secondo il linguista Max Leopold Wagner, autore del celebre Dizionario Etimologico Sardo completato negli anni Sessanta, la parola “pasqua” sarebbe semplicemente adoperata come sinonimo di festa. In realtà, come evidenzia un altro linguista, Mauro Maxia, questo termine non sembra così generico in quanto non viene applicato a tutte le feste cristiane ma solo ad alcune.

Si tratta dell’Epifania, che è detta “Paschinunti” o “Pasca nunzia” oppure “Pasca de sos/is Tres Res” o di “Is tres Urreis” con evidente riferimento ai Re Magi; l’Ascensione che è chiamata “Pasca de s’Ascensione/Ascensioni” in alcuni territori della Sardegna centro-meridionale; la Pentecoste che è definita “Pasca de Fiores” o anche “Pasca Rosada” o “Fiorida”.

 

La cosa interessante è che entrambi gli studiosi sembrano avere ragione se si considera l’antico concetto di “festa continua” che è tipico della Pasqua.

Infatti, fin dal III secolo, i cristiani hanno iniziato a estendere questa festa solenne oltre il suo giorno proprio, prolungando le sue celebrazioni per otto giorni (tuttora il lunedì è detto popolarmente Pasquetta), durante i quali non si svolgeva alcun lavoro, fino all’Ottava di Pasqua o “seconda Domenica di Pasqua”, e inoltre facendo durare il tempo liturgico pasquale per 50 giorni, così da inglobare la festività dell’Ascensione di Gesù e giungere alla Pentecoste, secondo le indicazioni dei Vangeli che riportano le apparizioni del Risorto per 40 giorni prima di salire al cielo e poi, 10 giorni dopo, la discesa pentecostale dello Spirito Santo.

 

Un allungamento della Pasqua che la lingua sarda sembra aver certificato e fissato con le sue diverse e precise definizioni pasquali, il cui significato profondo di celebrazione no-stop per la gioia della risurrezione sembra oggi in parte smarrito o comunque percepito con minore intensità, anche se forse si può ritrovarne una traccia indiretta pure nella lingua italiana con l’espressione “felice come una Pasqua”. Da notare che, invece, a Cagliari si adopera l’esclamazione “e mer’e pasca” (lett. troppa Pasqua) per ricordare ironicamente che la festa prima o poi finisce, che non può essere sempre Pasqua, specie ai bambini che avanzano continue richieste.

 

Ma come si spiega, invece, il binomio Natale-Paschixedda dal momento che la prima festa non rientra nel prolungamento cronologico appena citato e, anzi, lo precede?

In questo caso la tradizione popolare espressa dalla lingua sarda sembra condensare la sapienza esegetica e teologica dei primi cristiani, che hanno intravisto il volto pasquale del Natale nelle descrizioni del Vangelo, facendo un parallelismo tra la nascita e la morte-risurrezione di Gesù,

fasciato appena nato e deposto in una mangiatoia (Luca 2,7), fasciato appena spirato e deposto in una tomba (Luca 23,53), che sarà trovata vuota “con le bende per terra” (Giovanni 20,6).

 

Il bambino “avvolto in fasce” da Maria è una novità perché ai neonati ebrei si fasciavano solo le gambe, mentre è l’agnello che viene fasciato tutto nel sacrificio ebraico, così come avviene anche per la salma. Gesù è “l’agnello di Dio” (Giovanni 1,29) e sua madre sembra saperlo.

Inoltre, il sacrificio è anche l’Eucarestia, così come la mangiatoia è figura dell’altare o mensa eucaristica secondo sant’Ambrogio e sant’Agostino. Gesù stesso sarà il cibo delle sue Pecorelle. Isacco il Siro chiede di essere accolto nel gregge di Dio e scrive: “nutrimi con l’erba fresca dei tuoi sacramenti”, la vite e il grano da cui si ricavano il vino e il pane per l’Eucarestia. Gesù è il Pane di Vita (Giovanni 6, 33.51) e la città in cui nasce, Betlemme, vuol dire in ebraico “Casa del pane”.

 

Attraverso questa concatenazione di simboli il Natale è stato letto profeticamente nei primi secoli cristiani come un rimando anticipato alla Pasqua e tutto questo appare sintetizzato in modo semplice e diretto nella lingua sarda che, con grande immediatezza, definisce il Natale una “piccola Pasqua”.

Ma non è tutto, perché queste simbologie non solo attraversano la Sardegna ma conducono anche in altri luoghi, come a confermare la natura stessa del simbolo, che ha molti rimandi e avvicina ciò che è lontano.

(continua)

 

Immagine: Particolare della “Natività di Gesù” di Giotto – Cappella degli Scrovegni – Padova

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