Dalla Russia con amore”. La Guerra Fredda e i favolosi anni ’60, tra realtà e finzione.
di Paqujto Farina
Da “Back in the USSR” dei Beatles a James Bond 007, “Dalla Russia con amore” e “La spia che mi amava” di Ian Fleming, passando attraverso la letteratura con i grandi classici gialli come “La spia che venne dal freddo” o “La Casa Russia”, di John le Carré. Prodotti immaginifici, certo, ma dai quali traspare una mal celata empatia per la “Grande Madre Russia” da parte di un’influente élite britannica, musicisti, attori, cineasti, scrittori, che lascerà una traccia indelebile nella cultura popolare del Novecento. E, come vedremo, anche negli apparati di intelligence.
FANTASIA
Ai più attenti cinefili non sarà di certo sfuggito che nella saga di 007 il Governo di Sua Maestà mai è in competizione contro quello russo. Le paurose, a tratti pacchiane, “minacce al mondo” vengono, al contrario, sempre sventate grazie alla collaborazione tra Londra e Mosca che, alleate tra loro, immancabilmente sconfiggono il nemico di turno. Il più letale e pericoloso è l’organizzazione criminale Spectre. Ian Fleming ne colloca la “sede sociale” a Parigi, al numero 136 bis del Boulevard Haussmann, dove si cela sotto le mentite spoglie della FIRCO, ovvero Fraternité Internationale de la Résistance contre l’Oppression, un’associazione di beneficenza che dà rifugio ai profughi.
COINCIDENZE
Tra fantasia e realtà, suscitano curiosità le incredibili coincidenze di alcuni avvenimenti, tutti verificatisi sul finire del 1962. La prima il 5 di ottobre. E’ il giorno in cui in Gran Bretagna, la Parlophone, anonima casa discografica di Londra (ma controllata dalla EMI, di proprietà del Governo) e la EON Film Productions, immettono contemporaneamente nel mercato dell’intrattenimento, rispettivamente il primo 45 giri dei Beatles “Love me do” e il lungometraggio “Dr. No”, che sull’onda dell’enorme successo verrà re-intitolato “Agente 007-Licenza di uccidere”.
Alle origini, due piccoli manufatti artistici, sconosciuti alle masse. Visti oggi, con prospettiva storica, i primi, flebili rintocchi di una campana rivoluzionaria. In poco più di un anno, agli occhi del mondo intero, saranno l’avanguardia della british invasion, che influenzerà il costume, la cultura, la percezione stessa della vita nell’emisfero occidentale.
Nella prima parte della loro folgorante carriera i Beatles optano per un linguaggio “basic”, molto diretto quanto efficace. Parole come love, me, you, she, producono una miscela esplosiva. Ben presto però, l’iniziale slang naif, tipico della working class di Liverpool, verrà sostituito da parole e temi molto più profondi, di ribellione, a tratti idiosincratici. Brani come “Come together”, “Revolution” o più avanti “Give Peace a Change” -scritta per la campagna “War is over, if you want” contro la guerra nel Vietnam- tracciano un solco indelebile. Un brano, in particolare, fu oggetto di forti polemiche e accuse. E’ “Back in the USSR”, che apre il famoso “Album Bianco”. Apparentemente ironico, da più parti fu invece interpretato come una chiara presa di posizione; in particolare negli ambienti più conservatori degli Stati Uniti, dove la nazionalista e anticomunista John Birch Society etichettò la canzone, e gli stessi Beatles, come “propaganda comunista e filosovietica”.
Sono tornato in USSR
Non sai quanto sei fortunato, ragazzo
E’ bello essere di nuovo a casa
Le ragazze ucraine mi mettono proprio ko, fanno dimenticare l’Occidente
Le ragazze moscovite mi fanno cantare e gridare
Tanto che la Georgia è sempre nella mia mente
Portami a visitare i tuoi monti dai picchi nevosi giù a Sud
Portami alla fattoria del tuo papà, fammi sentire le tue balalaiche che suonano
Vieni a riscaldare il tuo compagno
Sono tornato in USSR
Non sai quanto sei fortunato, ragazzo
Contemporaneamente al “D Day” dello sbarco dei Beatles e James Bond nelle assolate spiagge dell’immaginario collettivo dei ‘60, la “Guerra Fredda” (quella vera) raggiunge il suo apice. Dal 16 al 28 ottobre 1962, con la crisi dei missili di Cuba, il mondo si trova ad un passo dal conflitto atomico. Ma all’ultimo minuto, quando tutto sembra perduto, Krusciov e Kennedy trovano l’accordo. E tra Est e Ovest scoppia la distensione. Solo nel 2000, dopo la desecretazione di documenti riservati del Cremlino, si saprà che il vero artefice del trattato tra Mosca e Washington fu Papa Giovanni XXIII°. Che, guarda caso, pochi giorni prima, l’11 ottobre, aveva aperto i lavori del Concilio Vaticano Secondo. I drammatici avvenimenti di quei fatidici “13 giorni” spinsero Papa Roncalli a scrivere l’enciclica Pacem in terris, indirizzata “a tutti gli uomini di buona volontà”. Viene pubblicata pochi mesi dopo, nell’aprile del 1963 e, per la prima volta, un testo pontificio è liberamente diffuso nei paesi dell’Est europeo. Oltre Atlantico il Washington Post scrive: “Non è solo la voce di un vecchio prete, ne solo quella di un’antica Chiesa, è la voce della coscienza del mondo”.
IL GIOCO
Tornando a cose più “terrene”, sempre nei mesi a cavallo tra il 1962 e il 1963, si consuma l’affaire Profumo, lo scandalo politico a luci rosse che coinvolse l’allora segretario per la Guerra del Regno Unito e una modella, Christine Keeler, sua amante ma, al contempo, anche dell’addetto navale dell’ambasciata russa a Londra, Eugenij Ivanov, presunta spia sovietica.
Contemporanea avviene la defezione dell’agente del servizio segreto inglese, Kim Philby, a capo delle leggendarie Cinque Stelle, come vennero allora battezzate; cinque giovani facoltosi, brillanti studenti di Oxford, tutti appartenenti a famiglie dell’alta borghesia britannica, che fin dagli anni dell’università avevano sposato la causa del comunismo. I Cinque Stelle (ogni riferimento ai giorni nostri è puramente casuale) da posizioni di assoluto rilievo nella società e nell’intelligence, agirono come agenti al servizio del KGB di Mosca, mossi però sempre da motivi ideologici, mai per denaro. Aspetto, questo, confermato da fonti autorevoli, la più attendibile delle quali quella di Graham Green, lo scrittore e grande amico di Philby, anch’esso agente segreto del MI6.
Sempre nel 1963 arriva nelle librerie “La spia che venne dal freddo”, di John le Carrè, romanzo “madre” di quel filone letterario con sullo sfondo la Guerra Fredda. La trama è un incredibile gioco di specchi, (il bianco è nero e il nero è bianco), dove tutto quello che sembra pulito, è, in realtà, corrotto. Viceversa, tutto ciò che a prima vista appare come il male, è in realtà giusto. Non è casuale che, nelle ovattate stanze del Circus -così è denominato l’apparato più esclusivo dell’intelligenze inglese- la disputa tra i due blocchi, NATO e Patto di Varsavia, veniva chiamata “The game”, il gioco. Le Carrè -che oltre ad essere stato uno scrittore di successo lavorò per i servizi segreti di Londra- tesse una ragnatela stupefacente, un autentico “enigma avvolto in un rebus”; una matassa così complicata che solo nelle ultime pagine il lettore vedrà infine la verità, “confezionata -come dice Alec Leamas, il protagonista- affinché milioni di occidentali inconsapevoli possano dormire sonni tranquilli”.
FLASH FORWARD
John Fitzgerald Kennedy, tempo dopo la crisi di Cuba e alcuni mesi prima di essere assassinato a Dallas, durante un disteso incontro con il ministro degli esteri dell’Unione Sovietica, Gromyko e l’ambasciatore Dobrynin, rispondendo ad un giornalista che gli chiedeva quali erano i suoi film preferiti, rispose tra il serio e il faceto: “Sicuramente tra i primi dieci c’è “Agente segreto 007-Dalla Russia con amore”.