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BIOLOGICO – Sardegna, da curiosità settoriale al mercato

Il mercato aiuta, ma senza i premi comunitari il sistema gira poco

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Di Salvatore Loriga

La Sardegna, da leader indiscussa nel mondo del biologico italiano per superficie e numero di addetti, è ora nella media italiana.

 

Certamente, da fenomeno e curiosità settoriale, il biologico si è saputo creare un suo spazio, molto importante.

 

Infatti, negli ultimi 10 anni, a livello nazionale, la superficie coltivata ad agricoltura biologica ha avuto un incremento del 111%, con un incremento nell’ultimo triennio del 5,6%, per arrivare a superare, attualmente, i 2,3 milioni di ettari, con una incidenza del 18,7% della SAU, Superficie Agricola Utile.

 

La Sardegna, con i suoi attuali 171.462 Ha coltivati ad agricoltura biologica, si colloca al 7° posto a livello nazionale, con una incidenza del 13,9% della SAU e con i suoi 2.441 operatori bio rappresenta solo il 4,9% delle aziende che conducono la propria azienda con il metodo dell’agricoltura biologica.

Certamente la fanno da padrone le colture estensive, quali le foraggere con i vari prati e seminativi, seguiti a lunga distanza da quelle arboree, tipo vite ed olivo, e dalle orticole.

 

Ricordiamoci che la Sardegna è stata, per anni, la regione “boom” del biologico, ma solo ed esclusivamente per i premi comunitari, cui è seguito un crollo, determinato prevalentemente dalle mutate prescrizioni dei bandi stessi.

Siamo passati da 7.798 agricoltori biologici della Sardegna nel 2001 a 1.754 nel 2004: una ecatombe in soli 4 anni, perché chi guidava l’andamento delle aziende erano solamente i premi agro-ambientali e non la commercializzazione.

 

Ma non serve assolutamente scandalizzarsi per questo comportamento; i vari premi, POR prima, PSR adesso e CSR in futuro servono proprio a promuovere determinate tecniche di produzione e di gestione, ed iniziare a lanciare un “seme” verso nuove possibilità.

 

Invece dal punto di vista del mercato, a livello nazionale, e confrontando i dati ISMEA, tra il 2022 con il 2021, si nota che nel “bio” c’è stato un piccolo incremento dello 0,5%, con una crescita molto bassa rispetto al settore agroalimentare  convenzionale, cresciuto del 6,4%, anche perché l’incremento non ha minimamente coperto l’inflazione, che per il settore è stata del 9,1%.

 

Andando a guardare cosa succede in Sardegna vediamo che la quota del bio commercializzata è molto scarsa, con prezzi quasi sempre superiori del 20% rispetto al convenzionale, anche se la differenza tende sempre a ridursi nei vari anni, specialmente al consumo.

 

Certamente, in Sardegna, un grandissimo aiuto all’evolversi del biologico è stato dato dal Piano di Sviluppo Rurale 2014-2022 che, con la sua Misura 11 ed i sui circa 98 milioni di euro, ha soddisfatto le varie domande di sostegno e pagamento presentate nei vari anni.

Premi che hanno permesso dei tassi di crescita, tra il 2022 ed il 2021, di oltre 70 mila ettari, anche se altrettanto non si può dire per il comparto zootecnico, ovi-caprino in primis.

 

Da questo 2023 non esiste più il PSR, sostituito dal CSR, il Complemento di Sviluppo Rurale, 2023-2027, con la nuova Misura SRA29 ed una dotazione, attuale, di 104.898.500 euro, con quota parte dei fondi che saranno utilizzati per mantenere fede agli impegni assunti con la Misura 11 del passato PSR.

 

Ma l’agricoltura biologica, conviene?

 

Per l’imprenditore il non utilizzo di prodotti di sintesi porta ad una minor redditività in termini di resa e quindi di profitto, anche se, ultimamente, con i nuovi prodotti ammessi in agricoltura biologica, la differenza produttiva si sta sempre più assottigliando, arrivando a solo il -10% in molti comparti.

 

Inoltre, a livello di redditività, i prodotti da agricoltura biologica sono sempre meglio retribuiti, anche con valori del 30% in più rispetto agli omonimi convenzionali, cui bisogna aggiungere poi i premi del CSR.

 

Il problema principale è che molte produzioni, ottenute da agricoltura biologica, vengono poi declassate e commercializzate come convenzionali; vedasi il latte ovino che viene conferito in caseificio e unito sempre a quello convenzionale, deprezzandone il valore e riducendo il profitto.

 

Per la collettività l’ecosistema ci guadagna.

Infatti la qualità del suolo è migliore, se ne avvantaggia la biodiversità, la flora e la fauna, favorendo la sostenibilità agricola rispetto a quanto ottenibile con le colture convenzionali.

 

Inoltre si vengono ad offrire dei prodotti agricoli, trasformati o meno, sani, tracciati ed identitari, con un rispetto ambientale ed animale, che si avvicina sempre più alle nuove tendenze ambientaliste del consumatore finale, che vuole essere sempre più informato e reso partecipe di quello che lo circonda.

 

Però il sistema bio gira se girano anche i premi, che da noi in Sardegna vengono gestiti dall’Agenzia Argea Sardegna, che cura la gestione e l’erogazione degli aiuti in agricoltura con funzione di Organismo gestore, pagatore e di controllo in materia di finanziamento della politica agricola comunitaria.

Un ruolo assunto da agosto 2020, anche se poi, a seguito di proroga, Argea OP è partita definitivamente nell’agosto 2021.

Funzione di Organismo Pagatore che, dopo un breve e fisiologico periodo di transizione, contornato da varie discussioni, problematiche e ritardi per l’avvio della macchina di controllo e pagamento dei vari premi, specialmente per la forte carenza di personale, è adesso quasi a regime.

 

Infatti l’ingresso di nuovo personale, tecnico ed amministrativo, ha permesso di ridurre i tempi di lavorazione di molte pratiche, ma non tutte, rendendo più efficace ed efficiente la sua azione, riuscendo a istruirle e pagarle, quelle in regola, entro i 12 mesi dalla presentazione della stessa domanda.

 

Dal che è evidente che il bio in Sardegna, se ben supportato, è in grado di crescere a tutto vantaggio dei consumatori e della collettività, ma anche per gli stessi imprenditori agricoli, che possono accrescere il proprio reddito, sia con la commercializzazione, ma anche con i premi comunitari.

 

Per fare ciò è certamente importante l’azione degli imprenditori del settore agroalimentare nel suo insieme, ma è fondamentale l’azione di chi è alla guida politica del comparto, che dovrebbe essere una persona con competenze e circondata da altri esperti in vari settori dell’agroalimentare, tecnici o meno, i quali dovrebbero tutelare e valorizzare i prodotti sardi, coinvolgendo la filiera e creando situazioni ad alto valore aggiunto, sia economico ma anche sociale, per tutto il territorio.

 

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