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SARDEGNA SIMBOLICA – S’Ardia e il culto di Santu Antinu: interpretazioni a briglia sciolta – parte prima. (15)

Una rubrica dedicata alla spiritualità del popolo sardo

S'ARDIA di Sedilo

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Di Lorella Marietti

Luglio è il mese dell’Ardia, la tradizionale corsa a precipizio di un centinaio di cavalieri in onore di Santu Antinu (san Costantino), che si svolge ogni anno a Sedilo la sera del 6 e la mattina del 7, seguita poi – nel giorno dell’Ottava della festa (la domenica 16) – da una nuova corsa, questa volta a piedi, nella quale si cimentano piccoli e grandi.

 

S’Ardia è una delle più importanti e ardenti manifestazioni di fede popolare dell’Isola, la cui anima antica dai caratteri arcani ha stimolato molte ipotesi sulla sua origine, sul suo significato e perfino sul santo che è al centro della corsa, l’imperatore romano che per primo si convertì al cristianesimo e che non è riconosciuto dalla Chiesa occidentale pur essendo venerato nelle Chiese orientali (ortodosse, cattoliche di rito greco, armene e copte).

 

È la festa liturgica equestre per eccellenza: nell’anfiteatro naturale di Sedilo, cavalli e cavalieri si avventano giù per il colle sormontato da una croce in pietra (su frontigheddu), sfrecciano sotto l’arco monumentale (un tempo portale ‘e linna) e si arrampicano verso il santuario campestre di santu Antinu: da qui, dopo alcuni giri rituali fatti al passo, si lanciano al galoppo lungo il pendio sottostante per raggiungere un terrapieno circolare dove è innalzata una croce di ferro (sa muredda), intorno a cui compiono altri giri in senso orario e antiorario, per poi risalire veloci verso la chiesa e concludere l’Ardia.

 

Sul sito ufficiale si legge che l’origine dell’Ardia si perde nella notte dei tempi e, con essa, la verità sul suo inizio. Secondo la spiegazione corrente, la corsa commemora la vittoria di Costantino, figlio di sant’Elena, contro l’usurpatore Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio alle porte di Roma (312 d.C.). Infatti, sopra l’arco del percorso campeggia la croce con la scritta “In hoc signo vinces” (con questo segno vincerai): un rimando, secondo la tradizione cristiana, al sogno profetico che spinse il condottiero a credere in Dio e a mettere il monogramma di Cristo (Chrismon) sulle insegne della sua truppa prima dello scontro con l’esercito rivale, da cui ne uscì appunto vittorioso.

 

Come mai i Sardi celebrano con tanto fervore un episodio così lontano nel tempo e nello spazio geografico? Certamente l’esito della battaglia fu decisivo per le sorti del cristianesimo nascente, visto che l’anno seguente Costantino firmò insieme a Licinio il famoso Editto di Milano che proclamava la libertà di culto e segnava la fine della persecuzione dei cristiani, restituendo i beni a loro confiscati. Ma questo basta a spiegare un culto che ha attecchito così profondamente e lungamente nell’isola?

 

Un culto all’insegna del coraggio e della devozione, in grado di originare quella processione fatta di corsa che ogni Sedilese sogna di condurre e la cui chiamata, da parte del parroco, può arrivare una sola volta nella vita. Una grande liturgia popolare all’aperto, fatta di benedizioni e preghiere, candele e bandiere, atti religiosi a cavallo e a piedi, capace di coinvolgere l’intero paese e di attrarre pellegrini da ogni parte dell’isola, i quali nel corso dei secoli hanno riempito il santuario sedilese di ex-voto: arazzi, foto e dipinti, composizioni di vari materiali, argento e ricami, che ne fanno il principale luogo di fede dedicato a Santu Antine, la cui corsa equestre è celebrata anche in paesi che non hanno una chiesa a lui intitolata, come Samugheo, oppure che ne hanno costruita una all’inizio del XX secolo, come Pozzomaggiore.

 

Per non parlare poi delle singolari modalità di questa festa, che prevede l’iscrizione dei candidati a capocorsa (sa prima pandela) in un apposito registro custodito dal parroco, il quale ogni anno sceglie un nome dalla lista (in base alla cronologia, all’abilità equestre e alla devozione per il santo) e lo annuncia privatamente all’interessato nel giorno della festa di sant’Antonio Abate (17 gennaio). Il prescelto, a sua volta, designa due persone fidate (è quasi come scegliere i testimoni di nozze), la seconda e la terza pandela, che correranno insieme a lui, e ognuno dei tre indica un cavaliere per costituire la scorta.

 

Insieme rappresenteranno Costantino e il suo esercito, come si legge sul sito ufficiale dell’Ardia, mentre tutti gli altri cavalieri della corsa faranno le veci dei pagani di Massenzio e verranno tenuti a bada dalla scorta affinché non superino sa prima pandela. I nomi dei tre principali cavalieri, portatori delle bandiere, rimangono segreti fino al giorno di sant’Isidoro (15 maggio): durante la Messa il parroco ne dà l’annuncio solenne e finalmente i tre fanno la loro prima uscita ufficiale per la processione. Poi, nel giorno dei Santi Pietro e Paolo, il 29 giugno, proveranno il percorso dell’Ardia e dal giorno seguente potranno farlo tutti gli altri cavalieri, in attesa del grande giorno di san Costantino.

 

Colpisce, oltre alla corsa in sé, tutta la ritualità che la prepara: è strano pensare che questo spiegamento di forze riguardi un non-santo per la Chiesa cattolica latina, per giunta mai venuto in terra sarda, a differenza dell’altro veneratissimo guerriero cristiano, sant’Efisio, che ebbe un rapporto diretto con l’isola perché qui visse per qualche tempo e poi morì martire (tra il III e il IV sec. a.C.). Per di più, secondo il racconto della sua Passio, avrebbe invocato sul popolo sardo una speciale protezione divina, poi confermata dai voti e dai miracoli attribuiti alla sua intercessione, ossia la liberazione dalla peste del 1656 e la protezione dai bombardamenti francesi del 1793.

 

Invece il culto di Costantino, come scrive Antonio Francesco Spada, uno degli studiosi che ha redatto l’Enciclopedia Costantiniana della Treccani, è stato importato nell’isola durante i secoli VII-IX, prima dai soldati bizantini (dei quali il santo imperatore era patrono) e poi dai monaci dell’Oriente cristiano che introdussero in Sardegna i santi del calendario liturgico greco.

 

Nonostante l’adozione tardiva, Costantino conquistò rapidamente il cuore dei Sardi: lo attestano anche i diciotto toponimi sparsi un po’ ovunque (Goantine, Gosantine, Antine, Antinu), che designano nuraghi, monti e anche un borgo (Bantine, frazione di Pattada, provincia di Sassari), oltre alla famosa reggia nuragica di Santu Antine nei pressi di Torralba, così chiamata dalle comunità che avevano cristianizzato il luogo.

 

Anche l’onomastica medievale documenta la presenza antica del culto di Costantino, sia nei nomi della gente comune che in quelli dei giudici durante il periodo dei Giudicati: infatti, nel periodo dal 1065 al 1196 portavano il nome di Costantino tre giudici di Gallura, tre di Arborea, due di Cagliari e due di Torres.

 

In più nel XVI secolo il culto costantiniano ricevette nuovo vigore grazie a un episodio miracoloso tramandato dagli abitanti di Sedilo e di Scano Montiferro. Secondo il comune racconto, un uomo di Scano Montiferro, rapito dai Mori e venduto al mercato degli schiavi, sognò san Costantino che gli annunciava la sua liberazione e gli chiedeva una volta rientrato in patria di far ricostruire la sua chiesa su una collinetta chiamata Monte Isei.

 

Entrambe le cose si realizzarono: l’uomo ritornò in Sardegna e la chiesa che fece edificare, laddove prima ce n’era una bizantina, è diventata l’attuale santuario di Sedilo. Il sogno e la liberazione sarebbero avvenuti rispettivamente la sera del 6 luglio e la mattina del 7 luglio, al tempo dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, quando la Sardegna fu di nuovo sottoposta alle incursioni moresche. Per qualche tempo gli Scanesi e i Sedilesi si alternarono nell’organizzazione dell’Ardia presso il santuario di san Costantino, finché il 6 luglio 1806 – ricordato come s’annu de sa briga – scoppiò una lite tra i due paesi e gli Scanesi si ritirarono lasciando la corsa costantiniana in mano ai Sedilesi.

 

Vi sono tuttavia alcuni studiosi che hanno ipotizzato per l’Ardia origini e significati differenti da quelli legati al culto di Costantino, la cui festa equestre non sarebbe quindi originale ma avrebbe imitato precedenti riti e usanze di cui era rimasta traccia tra i Sardi: si va dalla tesi nuragica a quella agreste pagana, da quella vandalica a quella giudicale, senza dimenticare la tesi economica e quella politica.

 

Se da un lato queste tesi sembrano contraddirsi ed escludersi vicendevolmente, da un altro lato potrebbero essere integrate e armonizzate proprio grazie al culto costantiniano, che pur provenendo da Costantinopoli potrebbe aver trovato terreno fertile in Sardegna grazie alla compresenza di quei diversi retaggi: tutti elementi identitari del popolo sardo, che si sarebbero felicemente riuniti e compiuti in modo paradigmatico nella figura di Costantino, come se egli avesse saputo catalizzare le principali caratteristiche ma anche gli aneliti e gli slanci dell’anima sarda. Una possibilità che stimola alcuni approfondimenti.

 

(continua)

 

Immagine: Raffaele Oppo, Ardia di Sedilo, Fotocommunity (https://www.fotocommunity.it/photo/ardia-di-sedilo-sardegna-raffaoppo/28454678).

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