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S’Ardia e il culto di santu Antinu: conclusioni a spron battuto – parte quarta. (19)

Una rubrica dedicata alla spiritualità del popolo sardo

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Di Lorella Marietti

Siamo alla fine di questa lunga galoppata alla scoperta della corsa equestre più amata dal popolo dei devoti (e non solo loro), un viaggio alla ricerca delle sue origini antichissime fino a giungere alle somiglianze rituali tra Sedilo e Costantinopoli, dove l’ippodromo era il luogo prediletto da Costantino per celebrare i suoi trionfi e dove le cerimonie in suo onore furono non solo mantenute dopo la sua morte ma anche implementate.

 

Oltre alle cinque analogie rituali già segnalate, ce n’è un’altra ravvisabile nella profusione di ceri che caratterizza la festa del santo imperatore tanto a Costantinopoli quanto a Sedilo. Infatti, nella capitale bizantina la statua di Costantino veniva scortata nell’ippodromo dai soldati che portavano tutti dei ceri e, allo stesso modo, prima dell’Ardia sedilese, i devoti sembrano mantenere quell’usanza con centinaia di ceri per il santo, tradizionalmente deposti all’interno di Sa Muredda, o anche tenuti in mano mentre compiono a piedi gli stessi giri rituali dei cavalieri attorno al santuario e a Sa Muredda.

 

Per questi giri si parla anche di “fare la guardia al santo”, come riportato in una lettera del 1920 conservata nell’Archivio della Curia di Bosa, nella quale sono menzionati i pellegrini dell’Ardia sedilese che girano tenendo in mano candele, bandiere o rosari.

L’espressione linguistica utilizzata si ricollega all’attività dei corpi di guardia bizantini ma anche all’etimologia del nome Ardia poiché, secondo il prof. Massimo Pittau, il termine deriva dal sardo Bardia ossia «guardia, custodia, luogo di guardia, corpo di guardia» e quindi «corpo di guardia del santo», e si tratta di un vocabolo ricorrente nella toponimia di parecchi comuni sardi.

 

Questa usanza di origine bizantina – per cui i soldati dell’imperatore difendevano i santuari da attacchi esterni – si mantiene in Sardegna fino al periodo medievale dei Giudicati e si riallaccia sia alla Guardia d’onore di Costantino il Grande, sia al ruolo ricoperto durante l’Ardia dalle pandelas e da s’iscorta che hanno il compito di difendere il capo-corsa (Costantino) ostacolando la corsa degli altri contendenti (i pagani) che cercano di raggiungerlo e di superarlo.

 

Questa strategia di difesa utilizzata nell’Ardia richiama una caratteristica tipica del pensiero militare bizantino, illustrata nella manualistica dei Taktiká che descrivono le tecniche fortemente improntate a una strategia difensiva e all’ideale ortodosso di «vincere senza uccidere», come evidenzia lo studioso di storia bizantina Mario Gallina, perché di fronte all’ineluttabilità della guerra soltanto una strategiké techne ben studiata e ben applicata avrebbe assicurato la difesa dell’impero cristiano rifuggendo violenze inutilmente cruente, evitando di esaltare l’uso della forza e anzi impegnandosi ad «addomesticarla, dominarla con la ragione, esorcizzandone la disumana ferocia».

 

Per gli imperatori bizantini si trattava di far ricorso a stratagemmi, attese, dissimulazioni ed espedienti volti a confondere il nemico, scompigliarlo e scompaginarlo: ad esempio fargli credere di essere numericamente superiori, fargli arrivare notizie false per minare le sue sicurezze, fare delle incursioni veloci per disperderlo, fingere di abbandonare una posizione per poi circondarlo, accogliere sempre un emissario del nemico, e così via, al fine di evitare il più possibile lo spargimento di sangue degli scontri diretti.

 

Anche l’Ardia si basa tutta su una strategia di difesa del capo-corsa ma anche sulle partenze inaspettate dello stesso per cogliere alla sprovvista i cavalieri “nemici” e su abilità equestri che mirano a tenere gli avversari a distanza, e alla fine della corsa vincitori e vinti si confondono. Inoltre, nel manuale tattico dell’imperatore bizantino Leone VI il Saggio hanno un ruolo centrale le istruzioni per la cavalleria e la fanteria, alle quali è riservato tutto il capitolo VI, e si può notare che l’Ardia si corre sia a cavallo che a piedi (nella domenica successiva).

 

Altri parallelismi tra la corsa dell’Ardia e il Taktika di Leone il Saggio, utilizzato anche in Sardegna dagli istruttori militari dei Giudicati, sono segnalati da Giuseppe Putzolu sul suo sito dedicato all’Ardia di Sedilo: per esempio la partenza fulminea dei cavalieri da un’altura (come sulla cima di Su Frontigheddu) e la discesa al galoppo per un perfetto controllo della velocità e della frenata, l’attraversamento di una strettoia (come l’arco del percorso sedilese) per assottigliare il gruppo dei cavalieri, o anche le manovre equestri complesse con curve e controcurve, con giri in senso orario e antiorario (come intorno a Sa Muredda) per sollevare un gran polverone e dare l’impressione di essere molto più numerosi agli occhi dei nemici che osservano da lontano.

 

Bisogna però precisare che non si trattava mai di pure e semplici istruzioni militari poiché nel pensiero bizantino era sempre presente la componente religiosa, come del resto accade nell’Ardia. Ad esempio, nel Taktika di Leone il Saggio si ricordava allo strategos che «[…] senza l’assistenza divina nulla riuscirà […]; che senza di essa non sconfiggerete (nemmeno) i nemici più deboli, perché la Provvidenza governa tutto […]» e inoltre «la tua morale deve essere un modello per gli altri» (Istituzioni n. 2 e n. 20). Non manca poi nei vari manuali bizantini il richiamo alle virtù della giustizia e della buona pietà, raccomandando la clemenza verso i vinti. Il sommo ideale è quello della battaglia incruenta, topos celebrato nella vittoria dell’imperatore Teodosio sull’avversario pagano Eugenio grazie alla provvidenziale polvere sollevata da un forte vento carsico (al pari delle battaglie bibliche vinte con l’aiuto di Dio) e grazie al fatto che alcuni reparti nemici fossero passati dalla sua parte.

 

Anche la Carta de Logu dei Giudicati sardi, dove si parla pure delle manovre militari equestri (sa mostra), si apre con un proemio cristiano («A laude de Jesu Christu salvadori nostru, et exaltamentu dessa justicia») e si spiegano le ragioni della promulgazione degli ordinamentos pensati per «sos Fidelis e Sudditos nostros» affinchè «potzant viver, et si potzant conservari in sa via dessa Veridadi, et dessa Justicia, et in bonu, pacificu, et tranquillu istadu, ad honori de Deus Onnipotenti, dessa gloriosa Virgini Madonna Santa Maria Mamma sua, et pro conservari sa Justicia, et pacificu, tranquillu, et bonu istadu […]».

 

Separare la componente civile-militare da quella religiosa risulta impossibile non solo nel Medioevo – dove «se togliessimo la parola Dio non capiremmo nulla di quell’epoca», come dice il filosofo Umberto Galimberti – ma anche nei primi secoli del cristianesimo, dove il termine “ordine” (tágma in greco, ossia una cosa ordinata o sistematizzata) si riferiva sia alle formazioni militari che alle categorie del popolo di Dio, sia alle manovre dell’esercito che alla liturgia dei fedeli cristiani.

 

Se da una parte, come sottolineava Siriano Magister, la manualistica tattica permette di far muovere e coordinare un insieme di uomini in modo ordinato, perchè «non è con una moltitudine di uomini che la guerra finisce felicemente […], ma con la capacità di disporli, di farli muovere e di gestirli» (prefazione di Leone il Saggio), dall’altra parte già san Paolo presentava l’assemblea liturgica come un insieme ‘ordinato’ di persone (cf. 1Cor 14,40) e sviluppava la metafora dell’«armatura di Dio» nella descrizione del combattimento spirituale (Ef 6, 10-20).

 

La stessa analogia è presente nella celebre lettera di Clemente Romano ai Corinzi (I secolo): come nell’esercito, ognuno al suo posto svolge il proprio compito obbedendo ai capi, così ogni cristiano offre la propria liturgia stando al suo posto e nel suo ordine. Infatti, nella Chiesa antica vi erano molti ordini, dall’ordo Episcoporum all’ordine degli sposi, fino all’ordine delle vedove e dei catecumeni.

 

Questa consapevolezza di ordine, posto e funzione è ben presente anche nella corsa dell’Ardia, non a caso definita «quasi una liturgia popolare diretta nell’insieme dal parroco» (Antonio Francesco Spada, Enciclopedia costantiniana), il quale sceglie ogni anno sa prima pandela o capo-corsa (quasi a evocare la chiamata di Dio a Costantino) e, a seguire, vengono designate dal capo-corsa le altre due pandelas e poi tutti insieme scelgono is scortas che terranno a bada gli altri cavalieri, dando così a ognuno il suo ruolo e il suo compito, con le benedizioni e le preghiere del parroco.

 

La somiglianza dell’Ardia con i ludi dell’ippodromo fatto costruire da Costantino, come pure con gli intermezzi ippici che si svolgevano a Costantinopoli nella basilica di Santa Sofia, è riconosciuta anche da Sebastiano Dessanay sebbene egli ritenga che la tesi dei riti agresti pagani sia l’unica in grado di spiegare il motivo per cui in Sardegna l’Ardia si corre pure in onore di altri santi.

 

Si può però notare che molti di questi santi provengono comunque dal calendario liturgico greco e bizantino, come i “Megalomartiri” san Giorgio e santa Cristina, il monaco egiziano sant’Antonio abate, santa Maria Maddalena (detta nel culto orientale “mirofora” in quanto portatrice di mirra al sepolcro) e la Madonna d’Itria (titolo bizantino).

 

Altri santi delle Ardie sarde, invece, sono apostoli (san Pietro, san Paolo, san Bartolomeo) e qui si può notare che il santo imperatore era chiamato isapostolos (uguale agli apostoli) tant’è che la sua tomba fu collocata nella chiesa dei Santi Apostoli. Molti storici occidentali hanno collegato il titolo isapostolos a motivi politici, anzi dinastici, volti a esaltare il potere dell’impero bizantino (cesaropapismo), ma nell’Oriente cristiano è un titolo attribuito anche ad altri santi e sante (prima fra tutte la isapostola santa Maria Maddalena, ma anche santa Tecla, i santi Cirillo e Metodio, san Cosma di Etolia, Sant’ Olga di Kiev, ecc).

Bisogna poi dire che la diffusione ed estensione dell’Ardia sarda ben oltre la festa di san Costantino potrebbe anche essere un tipico frutto di inculturazione cristiana, vale a dire di incontro tra l’evangelizzazione e i tratti antropologici, sociali e culturali di un popolo. Papa Giovanni Paolo II parlava di «fecondazione reciproca» tra la Chiesa e i popoli: «la rivelazione si annuncia in modo adeguato e si fa pienamente comprensibile quando Cristo parla la lingua dei vari popoli», non solo in senso grammaticale.

Così, senza escludere la sua origine costantinopolitana, l’Ardia potrebbe essersi innestata così bene in Sardegna in forza di un mix di condizioni ideali: il DNA del cavaliere nuragico, la passione isolana per l’allevamento e l’addestramento dei cavalli, il protagonismo anche acrobatico di questi animali nelle numerose feste, corse, processioni e sagre, la tradizione dei fantini sardi quotatissimi a livello internazionale, ma anche il coraggio, la fierezza e la balentia del carattere sardo.

 

Senza dimenticare qualche affinità di tipo tecnico: si pensi alla sella sarda, concepita per favorire l’aderenza tra cavallo e cavaliere dal momento che la briglia veniva tenuta con una sola mano poiché l’altra reggeva il bastone per guidare le mucche o le pecore, e la stessa posizione è mantenuta dal cavaliere dell’Ardia che guida il cavallo con una sola mano poiché nell’altra tiene la pandela, idem nell’iconografia di san Costantino a cavallo che usa una mano per portare una croce o uno stendardo cristiano.

 

Inoltre, la figura del santo – campione contro gli oppressori – potrebbe aver incarnato bene le aspirazioni di un popolo sottoposto a numerose dominazioni, offrendo una risposta ideale al suo desiderio di libertà e riscatto con quel Costantino «flagellu terribile de sos tirannos […] valorosissimu Costantinu, avvocadu e protettore nostru […] magnu in su valore» come viene ricordato nella preghiera sarda.

 

Anche il fatto che Costantino non sia stato mai canonizzato dalla Chiesa romana potrebbe aver solleticato il lato ribelle del cuore sardo, come pure la redenzione last minute di questo imperatore che si fece battezzare solo al termine della sua vita e che aveva fatto uccidere sia la moglie adultera, sia un figlio che cospirava contro di lui, quasi avesse seguito le orme del biblico Davide, altro re omicida e pentito, o come se avesse replicato l’esperienza di fede del ladrone in croce che Gesù perdona in punto di morte e porta con sé in paradiso (cf. Lc 23, 42-43).

 

Tutto ciò potrebbe spiegare il motivo per cui in Sardegna il culto di Costantino non solo attecchì ma venne anche incrementato; infatti, continuò ben oltre il dominio di Bisanzio terminato nell’VIII secolo e persino dopo l’XI secolo nonostante lo scisma con la Chiesa d’Oriente, per poi essere rinvigorito sotto il regno di Carlo V e giungere fino a oggi.

 

Infine, una curiosità: lo stemma dei Quattro Mori, riportato sulla pandela dell’Ardia, ha talvolta fatto pensare a un’espressione di nazionalismo sardo lontana da ogni riferimento a Costantino. Invece, come si legge sul sito della Regione Sardegna, tale stemma identifica la Sardegna sotto il regno di Carlo V, re matamoros (ammazza-mori), e ciò si ricollega al periodo e alle modalità di fondazione della chiesa di Sedilo intitolata a san Costantino, fatta costruire dall’ex prigioniero sardo – catturato durante le incursioni arabe avvenute nell’isola governata da Carlo V – e miracolosamente liberato dopo aver sognato il santo bizantino, chiudendo così il cerchio delle corrispondenze.

 

Immagine: Medaglia di Costantino il Grande a cavallo, 1402, artista ignoto, foto di Sailko, in fonte web: Wikimedia Commons.

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