“Per riferire di una vita sottomessa alla necessità non ho il diritto di prendere il partito dell’arte, né di provare a fare qualcosa di appassionante o commuovente.”
Quando Annie Ernaux scrive di suo padre, sa di aver tradito la posizione sociale da cui è nata.
Sa di aver lasciato sulla porta la sua inferiorità economica per abbracciare il mondo borghese a cui, da un momento all’altro, appartiene a tutti gli effetti.
Non rinnega suo padre, ma se ne vergogna per come parla, per le sue idee di individuo alienato, per il fine delle sue azioni: la necessità.
Se qualcosa non è necessaria per vivere, perché la si fa?
I suoi pochi desideri sono distruggere e ricostruire muri, muretti, baracche e baracchine, mantenere il suo orto meticolosamente ordinato, essere simpatico a tutti, non parlare a sproposito, riconoscere la superiorità del proprio interlocutore, se lo è davvero, ma non dargli modo di avere il coltello dalla parte del manico, e fare in modo che la gente non parli male di lui e della sua famiglia.
La semplicità di un uomo nato e cresciuto in campagna, lontano dalla scuola e dalla civiltà, che sa mungere le vacche e mietere il grano, che ha lavorato in fabbrica, ha desiderato emanciparsi e ha sempre amato gli alberi in fiore, ma che non ha mai concepito il lavoro diversamente da come l’ha conosciuto.
Il lavoro è solo quello di braccia, quello della necessità, che non si ferma neanche con la guerra.
Un uomo appartenente alla “gente modesta e perbene”, che ha speso la sua vita a dare la garanzia di un pasto dignitoso, di avere ogni tre giorni la carne in tavola, e di cui la figlia non capiva la semplicità.
La biografia asciutta, senza passione, pietà o romanzo, di una persona che è nata e morta come molte altre, senza medaglie e riconoscimenti, che ha fatto delle scelte e ha vissuto la sua vita convinta che non potesse andare meglio di così, perché c’era sempre chi stava peggio.
Copyright ( © ) New Sarde