Aldilà del fatto che Pauliccu Mossa sia uno dei maggiori poeti sardi e considerato, in Sardegna, il poeta dell’Amore per antonomasia, nella vita privata è un facoltoso benestante con pretese da signorotto feudale.
Nel 1821, anno in cui il Mossa nacque a Bonorva, i maggiorenti sardi erano intenti a chiudere, con muretti a secco e siepi, le terre pubbliche, forti del famoso e segreto ‘’tancadebbondhe’’ (chiudetevene). Parola pronunciata nel Parlamento piemontese per i ricchi sardi, e propedeutica alla futura promulgazione dell’Editto delle Chiudende, con cui si istituiva la proprietà privata in Sardegna, in sostituzione di quella collettiva.
Anche Pauliccu Mossa, avendone i mezzi, partecipò attivamente e prepotentemente a questo accaparramento, procurandosi diverse inimicizie, perché lui, come molti, pretendevano anche di chiudere le terre in linea retta. Ovviamente il Mossa coglieva ogni occasione pur di raggiungere i suoi scopi senza farsi troppi scrupoli, come quando avvenne un episodio che lo vide protagonista a Bonorva, durante una sera d’estate.
Mentre, all’imbrunire, era seduto sulla soglia di casa a godersi il fresco, come usava al tempo, anche i suoi vicini con i loro figli si intrattenevano a commentare i fatti del paese. All’improvviso una bambina che giocava accanto a lui cadde, e il poeta, provvidenzialmente, si alzò di scatto per soccorrerla. Proprio in quel momento, da dietro un carro a buoi parcheggiato nelle vicinanze, partì una fucilata indirizzata a lui che, grazie al movimento improvviso, riuscì a schivare. Pauliccu Mossa approfittò dell’occasione per accusare un compaesano che si era rifiutato di cedergli i propri terreni e consentirgli, così, di allineare. Il processo si risolse con un confronto all’americana in cui si accertò che il Mossa, sia per motivi di luminosità, che di distanza, non era in grado di riconoscere nessuno.
Il poeta, in conseguenza della sua vita turbolenta e spavalda, andò incontro ad una morte violenta, infatti morì ucciso per mano dell’usinese Francesco ‘’Cicciu’’ Derosas, suo figlioccio. Grande figura di bandito, Cicciu Derosas era un giovane onesto e laborioso che secondo alcune versioni entrò in conflitto con una sua vicina di casa che lo accusò di averle ucciso delle galline con il malocchio. Una volta denunciato, venne condannato a causa di deposizioni false ed arrestato, venendo poi scarcerato per buona condotta. Questo avvenimento trasformò radicalmente il giovane Cicciu Derosas, catapultandolo in un mondo, cui non era abituato, fatto di crimini efferati. Dopo essere stato incarcerato, non fece altro che pensare ossessivamente alla vendetta contro i responsabili della sua condanna, ossia i testimoni falsi.
Quando riacquistò la libertà, decise di vendicarsi in ‘’die nodida’’ (giornata solenne), per essere ricordata, e scelse il 2 novembre, giorno dei morti. Senonchè ebbe un imprevisto e dovette rinviare di due giorni, al 4 novembre. La mattina di tal giorno, appena uscito di casa, uccise il medico condotto, rincasando poi per pranzare. Dopo pranzo, andò a casa della vicina, uccidendola a pistolettate e successivamente uccise due coniugi, con la donna in gravidanza avanzata. Datosi alla latitanza, si unì in sodalizio criminale con altri due spietati banditi: il suo compaesano Luigi Delogu e il bonorvese Pera Zuanne Angius.
La banda, oltre a fare razzie e furti, era dedita anche agli omicidi su commissione e fu così che arrivò loro la richiesta di uccidere Pauliccu Mossa, ma visto che era il padrino di Cicciu Derosas, Pera Zuanne Angius e Luigi Delogu, per spirito di solidarietà, si offrirono di compiere loro l’omicidio, solo che Cicciu Derosas si oppose asserendo che doveva essere lui, proprio perché figlioccio del Mossa, a commettere l’omicidio.
Il 6 agosto del 1892, giorno della Trasfigurazione di Nostro Signore, (altra ‘’die nodida’’, abitudine che ritorna anche quando, assieme a Pera Zuanne Angius, uccise brutalmente il nobiluomo di Cossoine Luigi Dettori, ucciso il 26 dicembre 1893), Cicciu Derosas decise di entrare in azione tendendo un agguato al Mossa, in agro di Bonorva, in località Nurapè: lo disarcionò a fucilate e, per essere sicuro di portare a termine il compito, gli schiacciò la testa con un masso. La valutazione della falsa testimonianza, soprattutto in campo penale, cambia, in Sardegna, da zona a zona e da individuo a individuo. Infatti, in alcune zone il testimone falso è considerato, addirittura, come un mestiere qualsiasi che costituisce fonte di reddito e sfugge, in molti casi, perfino alla vendetta, dato che i suoi servigi possono essere utili a quanti si rivolgono a lui, anche a persone di fazioni avverse. L’unico inconveniente è costituito dal fatto che non sempre è possibile reperire, in alcune zone, testimoni falsi d’accusa. In alcune persone, invece, subire una falsa testimonianza ha un effetto dirompente, trasformando individui calmi e pacifici in autentiche belve assetate di sangue.
Questo è successo con Cicciu Derosas, il quale frenava la sua ferocia solo con la paura delle vendette trasversali (infatti in alcune occasioni avrebbe desiderato essere figlio della luna, come diceva lui stesso), ma anche, per esempio, con l’arzanese Samuele Stochino, che secondo Emilio Lussu, che lo ebbe come subalterno tra i ranghi della Brigata Sassari, era persona docile e mansueta dotato di un certo gusto estetico, tanto che, usufruendo delle libere uscite, durante la prima Guerra Mondiale, indossava il vellutino con, a tracolla, la ‘’soga’’ (fune piatta di cuoio con, ad una estremità, un anello di ferro, usata a mo’ di ‘’lasso’’ sudamericano per catturare al volo il bestiame di grossa taglia).
Un discorso a parte deve essere fatto per i delatori, i quali non sfuggono mai alla vendetta. Considerati il gradino più basso della scala sociale, vengono definiti, dispregiativamente in Sardo: ‘’ciugheppolta’’ (con una iterazione semantica basata sul verbo portare: porta e porta).