Se lo Spagnolo è la lingua per pregare, l’Italiano la lingua per parlare all’innamorata, il Sardo è certamente la lingua per parlare ai bambini.
E l’aspetto ludico concorre alla formazione di tutte le lingue, ma in particolare del Sardo, con iterazioni vocaliche e consonantiche, la cui efficacia generativa si protrae nel tempo fino ai giorni nostri, dando origine a una serie di suoni non-sense che possono essere paragonati proprio alla lallazione dei bambini.
La lingua sarda appartiene al popolo ed è lui che la forma e la caratterizza, ma è il poeta che la codifica.
In molte poesie sarde, soprattutto in quelle retrogradate, oltre ai termini di uso comune, prevalendo la fonetica sulla semantica, il poeta può inventare ex-novo, sfruttando il gioco di rime (rime baciate, incrociate, al mezzo, di appoggio, interne ecc.), parole di senso compiuto, nomi comuni, nomi propri (di personaggi reali e immaginari), suoni onomatopeici, termini da utilizzare in formule apotropaiche, parole senza senso da collegare agli etno-testi di cui abbonda la nostra letteratura popolare, ecc.
Per non parlare del cosiddetto ‘’italianu polcheddhinu’’, che è una lingua comune, nella diversità, a tutti coloro che, nonostante le apparenze, abbiano una certa dimestichezza con l’italiano e, pur non essendo poeti in senso stretto, non vogliono deglutire qualcosa che viene dal mare, e quindi cattiva, senza prima averla personalizzata e fatta propria.
Tutto questo patrimonio linguistico e culturale penetra con naturalezza nel nostro immaginario collettivo e, a tutti gli effetti, nella lingua.
Questo avviene, perché il pubblico che segue la poesia è talmente smaliziato che ascolta in senso assoluto, cioè senza assorbire acriticamente quello che dice il poeta, ma sempre contestualizzandolo come attribuzione e come situazione contingente.
Il poeta sardo è, dunque, più dei poeti in altre lingue, creatore consapevole, fabbro, artefice di una lingua viva, palpitante, sempre nuova, che germoglia continuamente sotto la sua azione.
Egli prova un vero e proprio piacere estetico nel suscitare immagini dal nulla, forgiando una sorta di gràmmelot plurilingue, però senza connotazioni comiche.
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