I Sardi sono da sempre vittime di una ‘’conventio ad escludendum’’ da parte della storiografia ufficiale, dalla quale sono sistematicamente ignorati.
Ma, oltre ad essere osteggiati culturalmente, sono oggetto di una iconoclastia concreta sin dalla fine dell’Età del Bronzo, quando, nel IX° secolo a.C., si crea una misteriosa frattura, sia a livello materiale sia spirituale, decretando, di fatto, la fine della Civiltà Nuragica.
In questo periodo, infatti, oltre ad eventuali fenomeni naturali catastrofici, si ha un inspiegabile attacco, forsennato e violentissimo, contro i Nuraghi, che vengono capitozzati irrimediabilmente e privati dei mensoloni e di tutte le strutture in legno, delle quali non resta traccia, se non nei fori a fondo cieco presenti nei muri esterni ed interni.
Secondo alcuni studiosi tale frattura è, addirittura, registrata e documentata nel primo modulo del ‘’canto a tenore’’ sardo, ossia in quello che viene, generalmente, definito ‘’a sa sèria’’.
Oltre ai vari tentativi dei vari colonizzatori di distruggere ogni traccia del nostro passato, anche il pastore sardo, per soddisfare i proprio bisogni, attinge a piene mani dal patrimonio archeologico tramandatoci dai nostri Padri, anche se non altera, almeno volontariamente, i monumenti e, soprattutto, le loro tecniche di costruzione.
Come invece sta avvenendo attualmente tramite l’opera di alcuni archeologi che, intervenendo per un restauro conservativo – che poi si trasforma in un restauro creativo, di cui, ormai, pullula la Sardegna, anche relativamente a monumenti archeologici famosi e importanti, che vengono, così, stravolti – utilizzano modalità di costruzione (magari tecniche odontoiatriche), strumenti e materiali moderni (leghe in carbonio) cronologicamente insostenibili.
Così i monumenti sono resi inutilizzabili, in pratica vengono uccisi, impedendo ulteriori studi da parte di archeologi che verranno in futuro.
Per non parlare, poi, della costruzione delle infrastrutture civili che, pur di non modificare di poco uno studio di fattibilità, distruggono spudoratamente monumenti millenari.
Inoltre con lo spopolamento delle campagne, favorito subdolamente da incentivi economici e dal turismo balneare, si sta verificando un attacco alla nostra toponomastica, nostro motivo di orgoglio e autentica sfinge per la cultura immateriale dell’Umanità, oggetto di studio da parte di studiosi, soprattutto esteri, ma anche sardi, di linguistica.
Qualche esempio da nord a sud dell’isola.
Rudarza è diventata Porto Rotondo, Battistoni è diventata Baia Sardinia, Monti di Mola è diventato Porto Cervo, a Baunei, il bellissimo Kòdula Ilune è diventata la banale Cala Luna, ad Arbus, Turri de Flumentorgiu è diventata Torre dei Corsari e si potrebbe continuare con scopiazzature di località turistiche italiane alla moda.
Ci fu, poi, la proposta di bombardare l’isola con il gas, la proposta di spiaggiare i nostri monti e le nostre cavità con colate di cemento, oltre ad altre proposte più o meno realizzate.
Mentre varie forme di sfruttamento cui è sottoposto il nostro intero ecosistema è sotto gli occhi di tutti.
Dopo questi brevi cenni storici possiamo affermare che tutto ciò che ci appartiene e che abbiamo prodotto nel tempo deve essere distrutto e gettato nell’oblio.
Ma quello in cui più si impegnano le istituzioni ufficiali nazionali e isolane, televisioni e giornali compresi, salvo rare eccezioni, è l’ostracismo verso l’appellativo ‘’Sardi’’.
Si è disposti a chiamarci, tutt’al più, Nuragici (e fieri di esserlo stati, ovviamente con tutte le implicazioni culturali, sacre e religiose), ma, certo, non Sardi: colpevoli di esistere!
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