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SARDEGNA SIMBOLICA – S’Ardia e il culto di Santu Antinu: le ipotesi galoppano – parte seconda. (16)

Una rubrica dedicata alla spiritualità del popolo sardo

Ardia preistorica?

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Di Lorella Marietti

Qual è l’origine dell’antica festa equestre in onore di santu Antinu che si svolge a Sedilo? Cosa rappresenta la sua sfrenata e pericolosa corsa rituale? Il personaggio a cui è dedicata, quel Costantino santo per i Sardi (e per le Chiese greco-bizantine, ma non per la Chiesa latina), è proprio l’imperatore romano che ha aperto la strada al cristianesimo?

 

S’Ardia, «festa di forza e bellezza» secondo la definizione del poeta Montanaru, non ha mai smesso di far correre l’immaginazione. Atto di fede e di coraggio che trasfigura i cavalieri in intrepidi eroi e trasforma in ascesi le salite di un percorso pieno di insidie. Ma anche celebrazione di quello stretto legame uomo-cavallo che in Sardegna assume pure la forma della pariglia, della Sartiglia e del palio.

 

Per il suo fascino arcaico e arcano, l’Ardia ha suscitato nel corso del tempo molte domande a cui hanno provato a rispondere studiosi di campi diversi: storici, antropologi, linguisti, archeologi, ma anche scrittori e appassionati ricercatori. Alcuni di loro escludono che S’Ardia sia la rappresentazione della vittoria di Costantino a Ponte Milvio e ritengono che il culto cristiano si sia impossessato di usi molto più antichi, forse ancestrali, snaturandoli e mixandoli con l’influsso bizantino.

 

Lo studioso Francesco Masala, che ha approfondito i temi della sardità e della lingua, fa risalire l’Ardia all’età Nuragica: una tesi che si ricollega anche alla scoperta di un bronzetto raffigurante un arciere a cavallo, il cui ritrovamento negli anni ‘60 ha sfatato la convinzione che gli antichi Sardi non conoscessero i cavalli prima dell’arrivo dei Punici (Cartaginesi o Fenici africani).

 

L’archeologo Giovanni Lilliu aveva immaginato che lo spericolato cavallerizzo nuragico, in piedi sulla groppa di un cavallo al galoppo e pronto a tirare con l’arco, stesse offrendo la sua acrobatica esibizione al dio di un primitivo santuario rurale, così come i cavalieri sedilesi, migliaia di anni dopo, avrebbero impavidamente corso l’Ardia in onore di San Costantino nel suo santuario campestre.

 

In effetti, a circa due chilometri da Sedilo, sorge proprio un villaggio-santuario nuragico: il sito di Iloi con l’imponente nuraghe risalente all’età del bronzo e tutto intorno i resti di un villaggio dello stesso periodo, con capanne circolari e quadrangolari, insieme a due tombe dei giganti e numerose tombe sotterranee risalenti al Neolitico (domus de janas). Un vero e proprio complesso sacro che ospitava fedeli e pellegrini nuragici per celebrare i riti rivolti agli dèi della natura o ai defunti.

 

Proveniva forse da qui il betilo ospitato nel sagrato della chiesa sedilese di San Costantino: pietra sacra mammellonare aniconica, rappresentazione stilizzata della dea madre, nella quale la fantasia popolare ha scorto una donna pietrificata a causa della sua irriverenza verso il santo. La doppia lettura del monolite potrebbe far pensare a un certo sincretismo pagano-cristiano (ma significherebbe non tener conto dell’ironia dei Sardi).

 

La medesima idea di sovrapposizione cultuale potrebbe essere ravvisata nei nomi dei siti archeologici intitolati a san Costantino nel territorio sedilese (la necropoli di Santu Antinu ‘e Campu, la tomba dei giganti di San Costantino) e anche altrove (il famoso nuraghe Santu Antine di Torralba), ma in questo caso si dovrebbe ignorare un altro aspetto ugualmente rilevante del popolo sardo: la sua fede. Battezzare cristianamente le strutture nuragiche era un po’ come convertire un pagano e dargli il nome di un santo (c’è anche il pozzo sacro di Santa Cristina, come pure il nuraghe di Santa Sabina e l’altare rupestre di Santo Stefano).

 

Un’altra interpretazione dell’Ardia è quella formulata da Sebastiano Dessanay, autore di un saggio sulla sagra di san Costantino, il quale vi intravede gli antichi riti agresti pagani menzionati da Ovidio. Un’ipotesi anch’essa riconducibile al territorio sedilese, dove sono stati rinvenuti resti di strutture civili e religiose punico-romane (vicino al colle di Talasai): testimonianze che possono essere incrociate con il ritrovamento a Tharros di un cavaliere fenicio su un piccolo otre in ceramica.

 

In questo caso si tratterebbe della cerimonia di purificazione del villaggio (lustratio pagi) delle feste pagane (feriae paganicae): una corsa svolta dai cavalieri dei clan per compiere un rito di propiziazione all’interno di un sacro recinto in modo analogo ai cavalieri di santu Antinu, così come i giri rituali dell’Ardia sedilese (Sos Inghirios) avrebbero come origine la solenne ricognizione dei confini del villaggio. Queste pratiche religiose pagane sarebbero nate, a loro volta, dall’esigenza pratica di delimitare e difendere i confini del proprio territorio da altre tribù, compiendo all’occorrenza delle veloci spedizioni a cavallo a scopo bellico o predatorio.

 

A proposito di incursioni, secondo il Masala potrebbe esserci alla base dell’Ardia pure la prassi delle razzie a cavallo sviluppatasi durante le invasioni dei Vandali e dei Longobardi in Sardegna (VI secolo), quelle scorrerie conosciute come “bardane”. Il termine Ardia potrebbe infatti derivare dal germanico Warden o Wardon e in tale ottica sarebbe stato importato dai Germani orientali di cui facevano parte, fra gli altri, i Vandali. Questi, tra il V e il VI secolo, conquistarono le province romane in Africa e le isole del Mediterraneo occidentale, perseguitando i cattolici con la chiusura delle chiese e l’esilio dei vescovi, fino a quando non intervennero le armate bizantine di Giustiniano che riconquistarono Africa, Sardegna, Corsica e Baleari.

 

A questo riguardo sono stati ritrovati nel territorio di Sedilo materiali di età vandalica e numerose tracce bizantine, cosa che conferma la lettura complessiva dell’area come zona di “contatto”, di scambi e di interferenze di diverse civiltà, secondo la suddivisione dell’archeologo Lilliu.

 

La vicina vallata di Nordai, in cui sorgeva un insediamento militare bizantino di rilievo, si trova poco a nord di Forum Traiani, la città che ospitò a partire dalla riconquista giustinianea il comando militare bizantino affidato a un Dux Sardiniae, e questa importante presenza rimette al centro l’importazione del culto costantiniano dall’Oriente cristiano. Del resto, lo stesso Dessanay afferma che la festa del santo imperatore poteva attendibilmente provenire da lì, ma non l’Ardia per la quale privilegia la tesi dei riti agresti pagani.

 

Non mancano poi delle ipotesi che escludono ogni forma di religiosità. Ad esempio secondo il prof. Francesco Naseddu, autore di diversi libri sulla Sardegna, l’Ardia non aveva nulla a che vedere con il culto di Costantino, ma era una mostra voluta dalle autorità civili bizantine e poi dai Giudici sardi del Medioevo. La pensa così anche Enrico Besta, il quale scrive nel suo trattato di “Storia Medioevale della Sardegna” che lo scopo della mostra era mettere in luce le qualità dei cavalli e le capacità di chi li montava.

 

Anche il linguista Massimo Pittau esclude un legame dell’Ardia con Costantino e con la sua vittoria di ponte Milvio del 312, sostenendo che la corsa era semplicemente una prova di abilità, di temerarietà, di balentia. Per Pittau è inverosimile che nella Sardegna interna si fosse conservato il ricordo di quella battaglia, come se lo studioso ignorasse che la Chiesa sarda dei secoli VIII-XI dipendeva dal patriarcato di Costantinopoli e quindi celebrava i santi del calendario liturgico greco-bizantino, alla cui diffusione contribuirono pure i monaci orientali insediatisi nel centro dell’isola.

 

Lo scrittore Marcello Serra coglie nell’Ardia sia un aspetto intimo e atavico dell’anima sarda, sia un «aspetto pagano ed esterno per il quale essa diventa una grande mostra dell’arte popolare, dell’abbigliamento, delle specialità gastronomiche dell’isola» (Mal di Sardegna, 1963).

Vi vede anche «una sorta di assemblea nazionale dei sardi» ed evidenzia che «quasi tutti i paesi della Sardegna sono infatti rappresentati con i loro costumi, con i prodotti della terra dell’artigianato, con i cibi tradizionali, con i vini più generosi». Pure Dessanay parla di una vera e propria festa federale.

 

Per Ugo Dessy, l’Ardia ha un importante valore fieristico: «tale fiera vede radunata tanta rappresentanza di Sardi da potersi definire ‘nazionale’ o ‘federale’, e pertanto può considerarsi la più antica e la più genuina tra gli appuntamenti folcloristici che annualmente le diverse comunità isolane si danno, con un evidente – e ormai in gran parte superato – scopo economico culturale: conoscersi e scambiare i diversi prodotti […]».

 

Salta all’occhio che nelle tesi formulate emergono due filoni principali: uno che mantiene l’aspetto spirituale, rituale, simbolico e quasi di ascesi dei cavalieri, siano essi nuragici, fenici o cristiani, e l’altro che sembra ridurre tutto a motivazioni più pratiche o pragmatiche.

 

Il giornalista e scrittore Antony Muroni scriveva in un editoriale del 2010 sulla testata Logos: «Muore un cavaliere e l’Ardia viene ripetuta, come se niente fosse successo? Domande di buon senso, ma tipiche di chi non conosce il legame ancestrale che Sedilo ha con il suo Santu Antinu. L’Ardia non è una giostra equestre, non è una dimostrazione di abilità, non è uno spettacolo ‘finto’ […] È un qualcosa di molto più complesso, legato a una religiosità che scorre nelle vene, vero tratto identitario di un paese che non si arrende all’avanzata del mondo globalizzato […]». È una «ardimentosa prova», «una manifestazione di fede» in cui «ogni cavaliere sa, e accetta, di poter essere chiamato a pagare un tributo di sangue. In nome di Santu Antinu».

 

È arrivato il momento di conoscere meglio san Costantino e di provare a inquadrarlo nel contesto isolano, tentando pure un esperimento: guardare l’Ardia di Sedilo con gli occhi degli antichi cristiani di Costantinopoli, alla ricerca di indizi che potrebbero rivelare se arriva proprio da lì la corsa sarda in onore del santo.

 

(continua)

 

Immagine: Arciere saettante in piedi sul dorso del cavallo, foto tratta da G.Lilliu, “Sculture della Sardegna nuragica”, 1966, ed. ILISSO.

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