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Home Politica Viaggio nella Galassia dei Persiani: Alla Scoperta dell’Iran e delle sue pericolose connessioni regionali (3)

Viaggio nella Galassia dei Persiani: Alla Scoperta dell’Iran e delle sue pericolose connessioni regionali (3)

Una finestra sul mondo

Iran, viaggio nella Galassia dei Persiani

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Di Nicola Rubiu

In questa terza tappa del nostro viaggio nel Vicino Oriente, il Dott. Rubiu, esperto di geopolitica e relazioni internazionali, ci guida attraverso le intricanti dinamiche che definiscono l’Iran contemporaneo. Nel tentativo di comprendere il contesto storico e geopolitico, esploreremo l’identità dei Persiani e la loro connessione con l’Iran, una potenza regionale che gioca un ruolo chiave nell’attivare e sostenere gruppi come Hamas e Hezbollah.

L’articolo odierno si propone di fare luce sul ruolo svolto dall’Iran nel corso dei decenni, con un particolare focus sul presunto coinvolgimento nella destabilizzazione della regione attraverso il sostegno a organizzazioni come Hamas e Hezbollah. Analizzeremo attentamente le dinamiche di questa presunta strategia, esplorando il contesto storico e le implicazioni internazionali.

Buona lettura. 

LA REDAZIONE

 

Cogliere sincrono e sostanza dei soggetti che informano la nostra quotidianità è spesso arte di difficile maneggio e comprensione. Cinti infatti da una glassa che ci fa – o farebbe – apparire uguali tutte le collettività che abitano questo pianeta, per doloso afflato politologico che semplificando l’intellegibilità delle cose umane pretende di porre sullo stesso piano struttura e sovrastruttura, esattamente come la celebre metafora della nottola di Hegel, che inizierebbe a cinguettare quando ormai il sole è sorto, dunque a comprendere gli eventi solo dopo essersi dipanati, è bene capire chi è il principale avversario in Terra Santa, che non a caso fino al 7 ottobre covava nel dietro le quinte le trame che poi hanno portato agli attacchi di quel giorno.

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L’Iran è soggetto quasi impossibile da comprendere a queste latitudini. Collettività tra le più sofisticate al mondo, insieme ad americani, cinesi e giapponesi, ossessionato dalle sue stesse narrazioni, che lo vedono diretto discendente degli antichi imperi e regni persiani, quindi detentore di una storia che lo avrebbe portato alla luce ben trenta secoli fa, visione custodita gelosamente, al di là delle illusioni per cui sistemi politici formalmente diversi siano capaci di cambiare le sorti degli uomini che pretendono di rappresentare, anche ora dagli ayatollah dopo il 1979, è da sempre antemurale di potenze esterne al Medio Oriente, spiccatamente antioccidentale. Increduli di fronte a quanto successo un anno fa con la brutale uccisione della giovanissima Mahsa Amini ad opera della polizia morale iraniana, abbiamo genuinamente creduto che quanto stesse seguendo fosse naturale conseguenza della volontà degli iraniani di smettere i panni fondamentalisti, porre fine al regime ed essere finalmente come noi. Scorno insostenibile per un paese che fonda la sua potenza, influenza e identità esattamente nel contrario di tutto ciò. Teheran è impero, di questo vive. Non di economia, di tranquillità come la vita senescente di noi europei, di pace o diritti. Come ogni potenza crede nella paura e fascinazione che inculca negli altri, così i turchi, i russi, gli americani. Allo stesso tempo la sua sovraesposizione verso i territori intorno alla Mesopotamia ha costretto popolazioni vicine, quali baluci, curdi e azeri nello spazio di influenza della repubblica islamica. Scenario impercettibile per noi, tutti iraniani sciiti ai nostri occhi. Eppure così siderei al nostro parallelo, fino quasi a dimenticare il fatto principale di quelle rivolte, non sfociate in rivoluzioni, anelanti improbabili colpi di stato e cambi di regime: la maggioranza dei giovani protestanti non è di etnia persiana, riottosa ad accogliere vie alternative da quelle che storicamente fondano tanto impero, malgrado l’attuale governo sia religiosamente fondamentalista, ovvero estraneo alla cifra antropologica iraniana, sostanzialmente laica nelle città perché estremamente sofisticata, ma utile come strumento narrativo così da condurre a se popolazioni comunque di fede musulmana che altrimenti sarebbero finite sotto influenze altrui. Massima complessità, che vede scontrarsi idee diverse e certo contraddittorie. Da un lato il ceppo etnico e politico dominante, come già ricordato il persiano e dunque indoeuropeo, preoccupato di obliterare gli ayatollah, rei di bloccare lo sviluppo dei borghesi dei centri urbani, dall’altro l’impervia campagna, Iran profondo, caratterizzata da quelle etnie che pretendono pari dignità dei persiani nei gangli dello stato, aggravata poi dalla fatica di sostenere gli oneri della potenza sciita, dalle guerre mai dichiarate in Asia ai continui soprusi che costringerebbero questi in perenne sudditanza, subumani agli occhi di Teheran, eppure semplicemente centrali per tenere in vita tanta struttura.
Rivendicazioni per noi tranquillamente assimilabili al canone occidentale dei diritti umani, categoria epistemologica oscura e misconosciuta a popolazioni fuori la nostra galassia, prontamente in stato di allerta quando per l’ennesima volta il capo di uno stato europeo configura fantomatici governi voluti dalla comunità internazionale (sinonimo: occidentale). Estranei a tutto questo, gli attuali contestatori rivendicano mondi preislamici, religiosamente pagani perché antecedenti l’influenza araba prima e la venuta dei turchi ottomani successivamente. Allora quei persiani si definivano nella “religione del fuoco”, lo zoroastrismo, che tanto affascinerà Hegel nella filosofia dello spirito, in quanto rivelatrice di verità proprio come la luce del fuoco nell’immaginario cristiano. Di più, gli stessi manifestanti, perfettamente consci di tanta storia ancestrale che li unisce ai persiani, hanno invocato subito dopo l’uccisione della ragazza sopra ricordata la tomba del celebre re di Persia Ciro il Grande, appunto zoroastriano, girando per le strade di Teheran con gioielli su cui erano incisi simboli di quel passato, smentendo la convinzione nostrana che questi siano disposti a barattare la loro identità con il nostro welfare o sistema di cittadinanza. Dolosa illusione, velo di maya che distanzia ancora di più il mondo dei persiani dalla nostra credenza, che ancora oggi non coglie l’inutilità di spiegare il Medio Oriente attraverso le infinite “guerre di religione”, per cui nemici giurati dell’Iran, quali turchi e arabi del Golfo, sarebbero tali in virtù del loro essere musulmani sunniti, diversamente quindi dagli stessi iraniani. Astrusa esemplificazione. Nessuna collettività, tantomeno la persiana, sceglie di adottare un credo solo per questione spirituale. Allora infatti, dopo la cocente umiliazione di essere finiti sotto influenza araba e turca sunnita intorno al VII e VI secolo, popolazioni non turciche ma stanziate nell’odierno Azerbaigian, chiamati “safavidi”, si staccarono da quella parte del Caucaso, troppo soffocante vivere sotto impero altrui, per discendere nuovamente in Mesopotamia e dotare quelle popolazioni, pure estranee al canone etnico classico ovvero indoeuropeo, di una variante della parola di Maometto così da contenderla con arabi e ottomani, inventando lo “sciismo”. Perché nutrita da monoteismo universale, capace di parlare a tutti gli abitanti di quelle regioni, sottraendoli così a influenze semitiche e anatoliche. Oggi grande vanto e forza di Teheran, per cui si trovano più azeri in Iran che non nello stesso Azerbaigian, unici non persiani a godere di dignità imperiale, permesso alle camere alte del potere, dove non a caso l’attuale guida suprema, Ali Khamenei, è per parte di madre azero egli stesso. Revanscismo elevato a massima dottrina imperiale, per gareggiare così con arabi, detentori dei luoghi sacri islamici, e turchi, custodi del credo sunnita.
Impossibile cogliere tanta sofisticazione nel mondo occidentale, per cui ancora nel 1979, anno della svolta che segna l’Iran che conosciamo oggi, i giovani persiani, studenti, pongono fine all’ultima dinastia monarchica, quella Pahlavi, perché a loro dire troppo collusa con le potenze occidentali, un fantoccio improbabile per una collettività che vive di potenza, recalcitrante nella percezione di dipendere da volontà che non sia la sua. Eppure, scambiati qui per placidi pensatori, sognanti verbo occidentalista e capaci quindi di importare nelle loro esistenze collettive gli esiti della rivoluzione borghese per come noi l’abbiamo conosciuta, celebre per la separazione tra Stato e Chiesa. Esattamente ciò che non succede nella rivoluzione iraniana di quell’anno, dove invece la politica si subordina alla religione proprio per evitare trasformazioni in senso laico di quella società, a cui arriva l’allora ayatollah Khomeini non contro ma proprio per volontà degli stessi manifestanti.

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Fiaccato da tanta storia, in quella parte di mondo in perenne stato di tensione, l’Iran attuale si trova in stallo. Preoccupato di rompere il fronte che l’egemone a stelle e strisce, di trumpiana memoria, ha inteso riprodurre dopo aver rifiutato il ritorno all’accordo sul nucleare per non galvanizzare le aspettative persiane, troppo pericolose in quella regione perché chiaramente virate contro arabi e israeliani, conferma di quanto Washington vede e teme Teheran quale principale minaccia in Medio Oriente, la repubblica islamica dovrà in questi anni controllare anche il suo fronte interno, infuocato da genti diverse che oggi chiedono più voce nelle decisioni del paese, di far parte anche loro dell’eredità persiana, perennemente sottomessi e fuori dai gangli del potere, con un regime fondamentalista che rifiuta per tenersi in vita di rinunciare a tanta aggressività e indottrinamento, temendo al contempo di perdere quelle popolazioni che gravitano intorno a Teheran per sue capacità ideologiche in quanto faro del mondo islamico sciita, con arabi e turchi pronti a farsene carico qualora la potenza iraniana dovesse cedere, magari sfaldandosi su se stessa. Decisivo quindi il confronto con Washington, di fronte al quale Teheran crede di giocarsi reputazione e forza militare, su tutte la celebre “Bomba”, il nucleare, massimo strumento di deterrenza e riconoscimento di ogni potenza contemporanea, per cui il regime ritiene in breve in tempo di passare dal piano civile al militare possibilmente al di sopra di ogni sospetto. Obiettivo ora impossibile. Perché troppo plateale: allora i vicini del Golfo griderebbero allo scandalo, impauriti dalla sensazione di soffocare tra le braccia di Teheran, senza più poter scegliere gli Stati Uniti, egemone lontano, dunque meno minaccioso. Con noi occidentali ad attendere l’ennesima rivolta vagamente filooccidentale, paghi della visione che si dipana ai nostri occhi. Per poi abbandonare tanta complessità, di fronte alla galassia dei persiani.

 

Immagine: Mappa dei legami dell’Iran in Medio Oriente (Fonte: https://aspeniaonline.it/ 2020)

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