Una chiacchierata con il prof Giacomo Cao, amministratore unico del CRS4
di Giampaolo Bruno
CAGLIARI
Esterno giorno.
Come mia consuetudine, arrivo con abbondante anticipo all’appuntamento, “giusto” il tempo per riordinare le idee e gli appunti e prepararmi all’intervista, tra un cappuccino e uno schiamazzo proveniente dalla popolazione multicolore del Parco antistante la sede di Pirri del CRS4 nell’ex Vetreria del Comune di Cagliari.
La prima intervista di una serie che ci porterà ad incontrare sardi e sarde che stanno trasformando o hanno trasformato in qualche modo la nostra Regione.
La nostra ambizione è quella di raccontare la Sardegna positiva, che passa per le cronache in maniera fugace, a causa della perversa abitudine di un certo giornalismo, ammalato di “mi piace”, di raccogliere consenso digitale anziché informare correttamente.
Un pezzetto di questa Sardegna si chiama CRS4 – Centro di Ricerca, Sviluppo e Studi Superiori in Sardegna, guidato da un anno a questa parte dal professor Giacomo Cao, scienziato e manager che si fa precedere da un curriculum “pesante”, che ne racconta l’amore per il “sapere” e ne evidenzia le doti, necessarie per ricoprire un incarico di prestigio come il suo: la smisurata curiosità verso le cose di scienza e di tecnologia e il senso pratico che gli garantiscono una visione chiara degli scenari presenti e di quelli futuri.
Un anno di lavoro, il suo, alla guida del Centro, che ha catturato la mia attenzione di operaio della comunicazione quale mi reputo, grazie all’implementazione di una nuova interfaccia comunicativa, che ha restituito al Centro di ricerca la sua forma pubblica corretta, superando l’immaginario dell’uomo della strada che fantasticava di un impenetrabile laboratorio, quasi un’Area 51 nostrana, mostrando l’azienda dinamica, moderna e produttrice di opportunità che in realtà è.
E proprio da queste opportunità si è sviluppata la nostra conversazione.
Con le movenze di chi conosce l’arte di insegnare e con assoluta padronanza della materia, il professor Cao inizia a raccontarmi quanto la sinergia tra ricerca scientifico-tecnologica e mondo dell’impresa possa fare bene allo sviluppo e al rilancio dell’economia della Sardegna.
Professor Cao, quale apporto tecnologia e scienza possono offrire allo sviluppo e al rilancio dell’economia della Sardegna?
“Come indicato dalla Comunità Europea nel programma quadro 2021/2027, la via dello sviluppo economico risiede nell’innovazione per la quale sono previste grandi risorse economiche. Ma il “come implementare” questo processo ha necessità di una messa a punto generale. Se si raffigura il percorso necessario al processo di innovazione, per arrivare al risultato si profilano tre fasi: ricerca, sviluppo e verticalizzazione al mercato. Per comprendere meglio questo concetto è necessario ragionare secondo i Technology Readiness Levels (TRL) che rappresentano la metrica di valutazione del grado di maturità tecnologica di un prodotto o di un processo, esprimibili in una scala che va da 1 a 9.
Iniziamo il nostro ragionamento osservando la ricerca, che nella scala ha un valore da 1 a 3. Questa, si realizza, principalmente, presso le Università, presso i centri come il CNR, presso l’istituto nazionale di astrofisica o l’istituto nazionale di fisica nucleare che operano ottimamente anche in Sardegna producendo risultati importanti, che garantiscono una interessante quantità di progetti innovativi. Procedendo con la valutazione della fase di sviluppo, che ha un TRL che va da 3 a 6, incontriamo le prime problematicità. È auspicabile che la nostra Regione, che può vantare una realtà come il CRS4, che presidia questa quota di TRL, possa incrementare il numero di addetti al settore della ricerca e dello sviluppo. Le Università impegnano per la ricerca migliaia di addetti, mentre nelle attività di sviluppo il numero di occupati è di poche centinaia. Per esempio, i dipendenti del CRS4 sono 120 e di questi, solo una parte opera allo svolgimento di apprezzabili attività di ricerca e sviluppo. Ecco, è necessario che questo pillar cresca.
Nonostante i risultati però, abbiamo un collo di bottiglia nella fase di accesso al mercato, inerente alla quota di TRL più alta che va dal valore 6 al valore 9. Per accedere al mercato il prodotto/processo deve essere il risultato di una buona ricerca e di un ottimo sviluppo ma soprattutto deve essere in grado di “penetrare” il mercato dove si trovano le aziende.
Rispondendo dunque alla sua domanda: Si, la Sardegna è dotata di tutti gli elementi perché ricerca scientifica e tecnologica, possano dare un contributo al territorio, ma sono necessarie alcune considerazioni a contorno, da farsi attraverso un’analisi che ci consentirà di comprendere quali migliorie apportare, affinché tutto il sistema possa perfezionarsi.
La ricerca necessita però, di un incremento delle risorse allocate, purché si operi in maniera appropriata. Per esempio, lo European Research Council differenzia i bandi in tre tipologie, quelli dedicati ai giovani, a chi vuole consolidarsi e per i ricercatori advanced.
Questo è un approccio corretto nella ripartizione dei bandi, infatti senza, non tutti possono competere alla pari. Se pensiamo, per esempio, ad un giovane che ha appena fatto il suo ingresso nel settore della ricerca universitaria, non avrà mai il curriculum di un advanced che nel settore opera da anni e questo, senza una corretta ripartizione, lo potrebbe escludere dalla possibilità di reperire i fondi necessari per avviare un progetto. Dunque, un primo passo per ottimizzare il sistema dovrebbe riguardare l’incremento delle risorse e la diversificazione dei bandi sulla base degli expertises dei partecipanti”.
La nostra Regione è attrezzata sociologicamente e “infrastrutturalmente” per accogliere nel suo tessuto economico-produttivo ricerca, innovazione e scienza in generale?
“Si, se si incrementa la creazione di processi collaborativi, predisponendo bandi che favoriscano, attraverso premialità, la sinergia tra i soggetti impegnati nella ricerca a livello territoriale. Il sistema, per la parte scientifica, dovrebbe favorire quei soggetti che si impegnano a fare rete, con la finalità di superare protagonismi e individualismi.
In Sardegna siamo un milione e mezzo di teste e abbiamo la possibilità di contare solo facendo squadra. Lavorare senza creare sinergie rende il comparto debole e, pur raggiungendo eccellenze in termini di titoli personali ottenuti, avrà difficoltà ad arrivare al mercato. Tutti i soggetti che operano nel mondo della ricerca dovrebbero essere capaci di sviluppare attività molto più interconnesse di quanto non lo siano ora. Un discorso questo che, ovviamente, è rivolto e valido principalmente per il mondo della ricerca scientifica indirizzato al mercato.
Un ulteriore accorgimento, valido sia per le attività di ricerca (Università) che per il passaggio intermedio, il TRL 3/6 – sviluppo, all’interno del quale rientra il CRS4, riguarda il processo di protezione del know how prodotto: la brevettazione. A cosa e a chi serve è presto detto. Le aziende che popolano il mercato, non svolgendo di solito attività di ricerca, prestano grande attenzione a quanto viene prodotto nel proprio territorio, e per portare a compimento la fase di “acquisto” di un prodotto o di un processo richiedono qualcosa di tangibile, come è, appunto, un brevetto. Una scoperta, per quanto sia importante, una volta pubblicata su una rivista scientifica, rende visibilità ai ricercatori e trasmette conoscenza, ma diventa di dominio pubblico, pertanto spesso poco appetibile per le aziende che sono interessate ad acquisire patrimonio e non articoli scientifici. Perciò chi fa ricerca e lavora a progetti con un potenziale mercato, è necessario che si abitui a proteggere le conoscenze e i risultati acquisiti. Questo meccanismo nella nostra comunità scientifica è ancora carente, mentre sarebbe un elemento molto distintivo, in quanto maggiore è la quantità di brevetti sottomessi e concessi, maggiore è la visibilità in chiave tecnologica che si acquisirebbe anche a livello internazionale. Questo sarebbe l’iter corretto di trasferimento della conoscenza al mondo imprenditoriale”.
Riassumendo, possiamo dunque affermare che la Sardegna ha un sistema di ricerca e sviluppo valido, mentre il raggiungimento del TRL inerente al mercato potrà avvenire attraverso una maggiore sinergia con possibili partner scientifici e tecnologici: esiste un tessuto imprenditoriale pronto per questo tipo di interlocuzione?
“La Sardegna non è priva di tessuto imprenditoriale, esistono svariate aziende che hanno ottimi risultati che però non fanno necessariamente riferimento alla filiera della scienza e della tecnologia in senso stretto. Ciò che sarebbe importante, dunque, è introdurre azioni appropriate che aiutino l’imprenditore a seguire la filiera di crescita in maniera corretta e a trovare le opportune forme di incentivazione.
Spesso si assiste a progetti che ripercorrono strade già battute con la finalità di catturare finanziamenti pubblici. Il percorso virtuoso prevedrebbe invece che l’imprenditore che ha un’idea nuova e vuole avviarla entro un arco temporale stabilito, trovi un sistema che lo supporti. È indispensabile identificare adeguate risorse per raggiungere l’obiettivo, senza purtroppo scontrarsi con quella burocrazia che non garantisce tempi di erogazione certi e rapidi. Quest’ultimo aspetto comporta che, difficilmente, l’imprenditore avrà la capacità finanziaria di anticipare risorse in attesa dei finanziamenti e anche se le avesse, il rischio da assumere potrebbe essere troppo alto”.
Perché in Italia è estremamente raro vedere imprenditori sognatori che scommettono finanche la propria vita per una idea, come Elon Musk, giusto per citarne uno?
“Potremmo parlare di carenza di visionari, di pionieri rispetto all’America, come da suo esempio, Elon Musk, ma in realtà, il problema risiede nel fatto che i pionieri in Italia non vengono finanziati. È dunque molto difficile che, pur esistendo, riescano a sviluppare le loro idee. Occorre favorire una maggiore cultura del rischio imprenditoriale attraverso lo sviluppo di tutele del finanziamento di idee innovative o visionarie. I detentori dei capitali come le banche e i venture capital, non investono sulle idee, ma principalmente analizzando piani d’impresa. Questi ultimi rappresentano solidi elementi che permettono a chi deve concedere risorse di finanziamento, di effettuare una scelta che garantisce un potenziale ritorno economico. Pertanto, non è un atteggiamento errato a priori, manca però la logica della scommessa esistente in altri Paesi. Negli USA esiste una grande competitività e tutti ne sono fieri in quanto è una driving force in tutto il mondo. Viceversa, nel nostro Paese, la competizione è temuta e contrastata per mentalità”.
Il passaggio intermedio della filiera che dovrebbe favorire l’interlocuzione tra ricerca, sviluppo e mercato come potrebbe essere migliorato?
“Partiamo dall’Università. I docenti che operano nei comparti scientifici e tecnologici al fine di procedere nella propria carriera devono scrivere e pubblicare i risultati raggiunti, ma raramente si preoccupano di brevettare le conoscenze maturate. Quindi, chi prima di pubblicare un lavoro scientifico non protegge con un brevetto il relativo know how, non disporrà dello strumento per interloquire con un portafoglio da rappresentare a chi ha intenzione di sfruttare quella potenziale idea imprenditoriale. Come ho già detto, è difficile imbastire una rapportazione con il tessuto delle imprese sulla base di articoli scientifici ma occorrerebbero degli asset, dei patrimoni, sui quali si può costruire impresa. Anche se il percorso della ricerca parte in modo autonomo, è possibile patrimonializzare i risultati ottenuti proteggendoli, per poi aprirli al mercato. È il sistema corretto per interloquire con chi nel mercato intende investire su quei risultati”.
Le carenze sono imputabili anche ad una comunicazione errata?
“I media sono cruciali in questo scenario, perché per favorire l’interlocuzione con il mondo imprenditoriale dovrebbero in parte modificare il proprio registro comunicativo enfatizzando maggiormente i possibili scenari di mercato generati sia dai lavori scientifici pubblicati sia dalle domande di brevetto depositate”.
In che maniera può essere impostato un trasferimento di informazione che possa accendere l’attenzione degli imprenditori e quali sono secondo lei i canali migliori per disseminare?
“Esiste un primo ostacolo a questo processo, ovvero il fatto che il livello di approfondimento degli argomenti scientifici e tecnologici è talmente ampio da creare notevoli difficoltà di comprensione. Pertanto, chi decide di occuparsi di accendere l’attenzione degli imprenditori e di divulgazione scientifica, dovrebbe conoscere le basi e i fondamentali della conoscenza scientifica. Allo stesso tempo gli scienziati, incontrando un interlocutore mediatico privo dei rudimenti, dovrebbero provare ad esprimersi con un linguaggio comprensibile. Lo stesso discorso vale nell’interlocuzione tra scienziati e imprenditori, con i quali è fondamentale presentare il know how disponibile in maniera adeguata, prospettando le possibili opportunità di mercato ottenibili con l’asset o il patrimonio brevettuale prodotto”.
30 ANNI di CRS4, un anno di guida Cao che ha segnato un nuovo corso soprattutto in termini di visibilità e di comunicazione, mi lascia una riflessione personale su ciò che si potrà fare?
“Il CRS4 è una macchina che deve correre da sola, e non deve essere considerata valida unicamente perché guidata da una celebrità, come fu Carlo Rubbia. Per raggiungere questa autorevolezza, il Centro deve lavorare su un percorso comunicativo che gli permetta di essere conosciuto per ciò che sa fare. Spesso succede che il ruolo di guida si utilizza solo per ottenere visibilità, mentre il sistema impostato da un anno a questa parte, è diretto a far emergere la struttura del Centro, enfatizzandone la credibilità, con il fine di mostrarne le competenze, le performance e le traiettorie dove il CRS4 può continuare a esplicare la sua azione al meglio. Ciò che il Centro ha fatto è sotto gli occhi di tutti, la grande novità del nostro lavoro è un’attività unica in Sardegna tra i pochissimi esempi in Italia che il CRS4 ha iniziato a svolgere e che potrebbe a brevissimo avere importanti sviluppi, ovvero, quanto ruota intorno alle iniziative legate ai computer quantistici. Stiamo lavorando al lancio di job (codici di calcolo) scritti in maniera da essere “lanciati” su macchine quantistiche con l’obiettivo di diventare un punto di riferimento su tale tecnologia e, magari, riuscire a poter disporre del primo computer quantistico italiano. Non abbiamo intenzione di convertire tutto il Centro alla tecnologia quantistica, sarebbe sbagliato aziendalmente perché il patrimonio di conoscenze e competenze, alcune recentemente protette secondo la logica del deposito di marchi e brevetti, va tutelato, ma lo sguardo deve essere rivolto a nuove traiettorie che potrebbero garantire significativi ritorni in diversi settori, uno tra questi è la cyber security in chiave quantistica – un settore strategico di questi ultimi anni, nel quale il CRS4 è entrato in corsa con un po’ di ritardo ma sta prontamente recuperando. Tra le applicazioni della tecnologia quantistica, oltre all’implementazione di sistemi per la sicurezza nazionale, non possiamo dimenticare la soluzione di problemi computazionali molto complessi, che gli attuali supercomputer non riescono a risolvere se non con tempistiche inadeguate”.
Ci lasciamo cordialmente, ipotizzando futuri possibili tra cui, perché no, quello di rincontrarci per immaginare un futuro straordinario per la nostra Sardegna.
Grazie professore, see you again!