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AGRICOLTURA – Olivicoltura super intensiva, conviene?

Con i prezzi al rialzo il settore è in fermento, allo studio soluzioni per garantire maggiori quantità

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Di Salvatore Loriga

Ultimamente si sta parlando tantissimo dell’impennata del prezzo dell’olio extra vergine di oliva, con incrementi, a livello nazionale, di circa il 70% rispetto al 2021 e contestualmente si cercano soluzioni per una nuova gestione dell’olivicoltura, al fine di assicurare grandi quantità di prodotto con un minor prezzo di vendita possibile al consumatore.

 

La richiesta di olio aumenta da un anno all’altro, così come i consumi in tutte le nazioni più evolute, anche a seguito dell’ingresso sul mercato di nuovi paesi produttori.

 

I recenti ingressi, avvenuti sia nel bacino del mediterraneo come in altri continenti (Australia, Argentina ecc.), aumentano di progressivamente le proprie produzioni, così come i loro consumi, e ci stanno facendo capire che è necessario prendere urgentemente atto della necessità di migliorare velocemente la nostra competitività.

 

La Sardegna con i suoi 24.100 Kmq, coltiva 43.183 Ha di oliveti, pari a circa l’1,79% della superficie regionale, ha delle punte produttive attorno a 80/90.000 q di olio, pari all’1,3-1,5% della produzione nazionale, ed è evidente che non abbia un gran voce in capitolo, dimostrando di non essere in grado di garantire neanche la produzione per il proprio consumo interno.
Dobbiamo capire e poi decidere cosa si vuole fare, sia in Italia come anche in Sardegna, ed al momento abbiamo solo due strade percorribili.

 

La prima è seguire la tipicizzazione, stando attenti alla provenienza ed alle caratteristiche organolettiche dell’olio EVO, oppure possiamo indirizzarci verso mercati di massa, specie quelli internazionali, dove chiedono olii senza tradizione specifica, ma generici, purché abbiano prezzi competitivi.

 

È evidente che tutto il settore olivicolo si trova in un momento di transizione, in cui è necessario fare i conti con le produzioni ottenibili dalle esistenti tecniche di coltivazione delle piante di olivo, quali:
• oliveto tradizionale;
• oliveto intensivo;
• oliveto super intensivo.

 

Certamente in Sardegna abbiamo a che fare con un olio extra vergine di oliva (EVO) d’eccellenza, consumato e prodotto da secoli, ottenuto da una olivicoltura tradizionale, dove oltre il 50% della superficie olivicola è a bassa densità d’impianto, con meno di 200 piante ad ettaro.

 

Sono per lo più oliveti coltivati in asciutto, su suoli spesso irregolari, a prevalenza collinare, con una bassa produttività, una scarsissima meccanizzazione e alti costi di produzione, gestiti più che altro a livello familiare e per l’autoapprovvigionamento.

 

Per cercare di uscire da questa situazione, già dagli anni sessanta, le agenzie di assistenza tecnica in agricoltura hanno iniziato ad impostare una nuova gestione olivicola, valorizzando la coltivazione intensiva.

 

Si sono così spinti i nuovi impianti olivicoli, intensivi, in irriguo e con circa 400 piante ad ettaro, a sesti regolari, con forme di allevamento predisposte alla raccolta meccanica, per una maggior remuneratività economica legata prevalentemente alla quantità e resa, anche se la potatura e la raccolta erano ancora da farsi a mano, per singola pianta, e con uno scarso utilizzo della meccanizzazione.

 

Per abbattere ulteriormente di più i costi gestionali ed aumentare la produzione di olive, è nato in Italia ma realizzato per la prima volta in Spagna, un nuovo modello di olivicoltura super intensivo, dove si hanno fino a 1.600 piante ad ettaro, impiantate a filari paralleli, tipo vigneto, su terreni pianeggianti ed in irriguo, con ridotte dimensioni delle chiome e cv specifiche, che possano essere facilmente gestite sia dalle macchine potatrici che dalle raccoglitrici.

 

Ma visto come stanno andando le cose, in Sardegna, considerato che non abbiamo un piano olivicolo regionale e non esiste ancora unità tra gli stessi olivicoltori, cosa conviene fare?

 

Si potrebbe parlare a lungo dell’argomento, ma anche da noi, di fatto, si hanno due possibilità.

 

Come già detto, la prima strada è continuare a seguire la tradizione con la sua tipicizzazione, dove vengono valorizzate sia le origini del prodotto, da cui l’olio DOP, stando molto attenti alla provenienza delle olive e sia le caratteristiche organolettiche dell’olio EVO, da indirizzare verso un mercato più evoluto, attento alla qualità e ad alto reddito.

 

Questa strada, che poi è quella attualmente attuata, porta sia ad un discreto consumo interno ma anche ad una internazionalizzazione del prodotto, alla continua ricerca di una maggiore remunerazione dell’olio venduto.

 

L’altra opzione possibile, percorribile nel medio-lungo periodo, è seguire i mercati di massa, ossia quelli internazionali, dove si commercializzano produzioni generiche e con prezzi fortemente competitivi.

 

Certamente, se si seguisse la seconda opzione, dovremo impiantare nuovi oliveti super intensivi.

 

Però, considerata la loro stessa natura, avremo impianti olivicoli bisognosi di alti livelli di irrigazione, di una elevata difesa fitosanitaria e di una gestione agronomica ed eco sostenibile molto più oculata, certamente differente rispetto a quella utilizzata negli oliveti tradizionali.

 

Ma in primis bisognerebbe far accettare questo nuovo modello di olivicoltura agli stessi olivicoltori, che sono i primi ad essere restii ai cambiamenti, specie se questi mutamenti risultano gravosi dal punto di vista economico, considerati gli alti costi d’investimento iniziale necessari.

 

Ma è sotto gli occhi di tutti, addetti e non, che in tutto il mondo olivicolo vi sia un gran fermento e sta a noi cercare di non perdere anche questa occasione.

 

 

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