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Trentasei specie di pazzia (45)

Sardegna simbolica - Una rubrica dedicata alla spiritualità del popolo sardo

Pazzia

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Di Lorella Marietti

Tra i vari dicius della saggezza popolare sarda, uno suona particolarmente curioso: «Su macchìne hat trinta sex genias et ognunu tenet su pagu souLa pazzia è di trentasei specie, ed ognuno ha il suo poco».

 

Se è vero che ognuno di noi ha in sé un po’ di follia, perché il proverbio sardo parla proprio di “trentasei specie”? Da dove nasce questo numero così specifico?

 

Il riferimento più vicino sembra essere quello delle 36 situazioni utilizzate universalmente nella drammaturgia, prima teatrale e poi cinematografica, dove ogni situazione può essere considerata la crisi, o l’apice, di un conflitto di emozioni.

 

Queste 36 situazioni riguardano casi come la Rivalità o l’Odio tra parenti, la Gelosia ingiustificata, l’Adulterio omicida, la Perdita di persone care, l’Ambizione, la Vendetta, il Sacrificare tutto per una passione, i Reati d’amore… Ognuna delle 36 situazioni presenta anche delle sfumature, che offrono sviluppi diversi a partire dalla singola situazione.

 

È una casistica ripresa tale e quale, nel corso dei secoli, da autori di diversa nazionalità: Carlo Gozzi, uno dei maggiori esponenti del teatro veneziano della seconda metà del Settecento; Georges Polti, drammaturgo e teorico del teatro francese di fine Ottocento; l’americano Frederick Palmer con la sua Plot Encyclopedia del 1919 utilizzata dagli sceneggiatori di Hollywood.

 

Queste 36 situazioni conflittuali potrebbero avere un qualche legame con le 36 specie di pazzia del proverbio sardo? Come sottolinea il filologo Dino Manca, la Sardegna ha sempre fatto parte della più generale cultura mediterranea, europea e occidentale, e la caratterizzazione isolana è il risultato di elementi sia tradizionali che non tradizionali, oltre che dalla compresenza di numerose microculture (urbana, industriale, agro-pastorale, marina e costiera).

 

Allo stesso modo il teatro in Sardegna conserva tracce autoctone antichissime insieme a delle influenze straniere, poichè si è trasformato da rito propiziatorio dell’età nuragica, a spettacolo dell’anfiteatro romano, a rappresentazione cristiana sacra, a festa di piazza, a commedia dialettale, anche accogliendo gli artisti e le compagnie di attori di passaggio sull’isola, come riporta Sergio Bullegas nella sua “Storia del teatro in Sardegna”.

 

Ma c’è dell’altro, perché andando più indietro nel tempo rispetto alle 36 situazioni del teatro, si scopre che il numero 36 ricorre in modo emblematico in uno dei libri più antichi del mondo, la Bibbia: infatti, nel Nuovo Testamento, sono 36 le volte in cui compare sia il nome “Satana” che la parola “diavolo”, due termini portatori di conflitto.

 

Del resto in ebraico Satan significa “l’Avversario”, mentre diábolos – in greco “colui che divide” – esprime bene tutto ciò che incrina l’amore tra le persone, che frammenta la società, che sparge menzogna, che mina l’unità interiore degli individui. Come se non bastasse, la somma dei numeri da 1 a 36 dà proprio 666, il numero della Bestia demoniaca presente nel libro dell’Apocalisse.

 

Così, nei primi scritti cristiani, il termine “demònio” è stato adoperato anche per indicare tutte le passioni negative che ostacolano l’armonia con sé stessi, con il prossimo e con Dio, catalogando una vasta gamma di conflitti e di danni che possono richiamare lo schema delle 36 situazioni drammatiche o anche delle 36 specie di follia.

 

Ad esempio il Pastore di Erma afferma che «la maldicenza è un demònio inquieto che non sta mai in pace e attecchisce sempre tra le discordie», così come «un gran demònio è l’arroganza e la vana presunzione!».

 

Nel testo apocrifo degli “Atti di Giovanni” si legge che «chi ama il denaro è servo di mammona. Mammona è infatti il nome di un demònio patrono dei guadagni materiali e domina coloro che amano tali cose». Il padre del deserto Evagrio Pontico associa otto demoni ai principali otto pensieri cattivi che possono assillare la mente.

 

È stato osservato che i primi cristiani, spesso eremiti nel deserto, hanno esplorato l’animo umano con una lucidità che si avvicina molto all’odierna psicanalisi, non fermandosi mai alla semplice analisi, ma avanzando in un cammino di trasformazione e guarigione, guidati dalla loro fede e dalla convinzione che nel fondo dell’anima, a cui si può arrivare solo attraversando il caos dell’inconscio, ci fosse l’incontro liberatorio con Dio e la pacificazione del cuore. Agostino scriveva «Io desidero conoscere Dio e l’anima» (Soliloqui I, 2) e «Ci hai fatti per te Signore e il nostro cuore è inquieto finchè non trova pace in te» (Le Confessioni, I, 1).

 

Nel Medioevo la “demonologia” psicologica e spirituale diventa una chiave di lettura per alcune specie di follia: quella innocua dello “scemo del villaggio”, quella finta del buffone di corte, la follia dell’amore (nei romanzi cavallereschi come quello di Yvain, Perceval, Lancillotto o Tristano), la pazzia mistica (i folli di Dio come san Francesco di Assisi) e la pazzia maligna che fa cadere la persona nel potere di Satana e diviene l’immagine del disordine terreno.

 

Dunque teatro e religione come possibili origini del proverbio sardo? Potrebbe essere plausibile se si considera un ulteriore elemento capace di combinare insieme i due ambiti, ossia l’arrivo in Sardegna nel 1562 del primo collegio dei Gesuiti, portatori di un teatro educativo che si mantiene vivo fino al XIX secolo.

 

Il teatro dei Gesuiti, scuola di valori e virtù, raccoglieva l’eredità delle rappresentazioni sacre, ma anche del dramma classico, e il suo nucleo con scopo edificante era lo scontro tra il bene e il male, tanto nell’animo dell’uomo come nel mondo. Un tema molto sentito dal fondatore di questo ordine religioso, sant’Ignazio di Loyola, che aveva dedicato molta attenzione al discernimento degli spiriti (o pensieri), quasi in continuità con i monaci del deserto.

 

Così il teatro dei Gesuiti nell’isola potrebbe candidarsi ad essere l’anello di congiunzione tra le 36 specie di pazzia del proverbio sardo, le 36 situazioni drammatiche dell’arte teatrale e le 36 ripetizioni bibliche dei nomi luciferini che hanno ispirato ai primi cristiani la ricerca interiore e il discernimento dei pensieri per migliorare sé stessi e il mondo.

 

Come dice lo psichiatra Vittorino Andreoli, la storia dell’umanità è anche la storia di una lotta quotidiana tra il bene e il male. Per Freud, questa lotta è quella tra l’Io e il Super-Io, che deriva da moti pulsionali rimossi e che, in qualche modo e in qualche misura, riguarda tutti. Infatti «ognunu tenet su pagu sou».

 

Immagine: Ritratto di folle, Maestro del 1537, Fondazione Phoebus, Anversa.

 

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