La terza domenica di agosto e i due giorni successivi si svolge a Villamar la festa della Madonna d’Itria, che in altri Comuni sardi è invece celebrata a maggio, oppure il martedì di Pentecoste, oppure a fine luglio.
Le chiese che ricordano Maria sotto questo titolo sono numerose in tutta la Sardegna, da Maracalagonis a Orani, da Oristano a Benetutti, da Fonni a Guasila. A Portoscuso la Madonna d’Itria è venerata come Patrona dell’intero territorio comunale. A Gavoi, il Santuario mariano viene comunemente chiamato Sa Itria.
Il titolo “Itria” è l’abbreviazione di Odigitria o Odegitria, in greco “Colei che indica la Via”, e si riferisce all’icona venerata a Costantinopoli nei primi secoli del cristianesimo, in cui la Madonna è raffigurata mentre indica il Bambino che tiene in braccio, mostrando così la Via alla beatitudine che è Cristo.
Il concetto di Cristo-Via, oltre a ricollegarsi al vangelo di Giovanni in cui Gesù dice di sé «Io sono la Via» (Gv 14,6), evoca anche il primo appellativo dato ai cristiani: infatti, prima di essere definiti tali ad Antiochia (Atti 11,26), erano chiamati «i seguaci (o discepoli) della Via» (Atti 9,2; 19,9; 19,23) proprio a motivo delle parole del Vangelo.
Secondo la tradizione cristiana più antica, ripresa da san Giovanni Damasceno, la prima icona dell’Odegitria sarebbe stata dipinta da san Luca, venerato come ritrattista della Madonna nella liturgia orientale e considerato protettore dei pittori nella Chiesa occidentale.
Interessante notare che un canto poetico sardo attesta la stessa tradizione: Santu Luca pigat su pinzellu, / su bellu ritrattu de Maria hat pintau.
Luca è l’unico evangelista che riporta le vicende iniziali della madre di Gesù: dall’angelo che le annuncia il concepimento, fino al ritrovamento di Gesù dodicenne nel tempio. Inoltre Luca è anche l’autore degli Atti degli Apostoli ed è qui che vengono nominati i seguaci della Via.
L’icona originale dell’Odegitria sarebbe stata trasferita da Gerusalemme a Roma e qui sarebbe stata donata da Papa Silvestro all’imperatore Costantino, che aveva concesso la libertà di culto ai cristiani nel 313 e che portò il dipinto a Costantinopoli. Successivamente Eudocia, moglie dell’imperatore Teodosio il Giovane, fece costruire la chiesa dove l’icona venne custodita dai monaci basiliani fino all’invasione turca e alla caduta di Costantinopoli avvenute nel 1453.
Non è chiaro se il dipinto originale sia andato distrutto durante l’occupazione e il saccheggio della città, ma molte opere d’arte vennero nascoste in casse e trasportate via mare in Occidente, approdando anche sulle coste meridionali dell’Italia. Qui la lunga tradizione dei ritrovamenti in mare delle Madonne con il Bambino, spesso a opera dei pescatori e talvolta in seguito a naufragi, era già iniziata nell’VIII secolo quando l’arte cristiana veniva messa in salvo sulle navi per sfuggire alla lotta iconoclasta scatenatasi in Oriente contro le immagini sacre oppure per scampare alla furia distruttiva delle invasioni barbariche dell’Alto Medioevo.
Così tutte le Madonne con il titolo dell’Odegitria, in Oriente e in Occidente, hanno come prototipo e modello il dipinto attribuito a san Luca, anche se la loro iconografia ha conosciuto nel tempo delle varianti legate alle modalità dei rinvenimenti o delle grazie ricevute.
Ad esempio a Oristano, come in Sicilia, la Madonna con il Bambino siede sopra una cassa lignea portata a spalla da due monaci basiliani, immagine che ne evoca il salvataggio e che è particolarmente frequente nelle icone di gusto bizantineggiante.
A Villamar e in molti altri paesi sardi, così come in Puglia, l’iconografia rievoca la liberazione miracolosa di un pescatore catturato dai corsari saraceni e la conversione del suo carceriere: le due figure sono ricordate con due piccole statue che accompagnano la Madonna d’Itria, alla cui intercessione è stato attribuito il doppio miracolo chiesto da una madre, come ancora oggi si canta nella tradizione sarda:
Unu fillu iscrau teniada / una mamma sventurata / – E torramì – supplicada / – a fillu miu, O Maria,/ e de issu luegu s’esti bia / abbrazzada cun termura.
La processione di Villamar, che ieri si è svolta dal paese al santuario campestre e che farà ritorno domani, è preceduta dai cavalieri e dalle caratteristiche traccas che introducono l’artistico cocchio della Madonna d’Itria trainato da un giogo di buoi.
Prima di questo splendido cocchio in legno intagliato, policromato e dorato, inaugurato nel 1875, la statua della Madonna d’ Itria veniva trasportata a spalla da quattro membri della Confraternita che si davano il cambio, quasi a richiamare l’iconografia dei monaci basiliani che si erano caricati sulle spalle le casse con le opere mariane.
Durante la processione si intonano is coggius, orazioni cantate composte da oltre venti versi più il ritornello, che ricordano per la loro struttura e la loro metrica il kontakion bizantino. Del resto i monaci basiliani giunsero numerosi in Sardegna, dove introdussero il culto dei santi, le cerimonie e gli inni del mondo greco-orientale.
Degne di nota le particolari decorazioni utilizzate tradizionalmente a Villamar: gli archi illuminati – in passato con il carburo, oggi con la luce elettrica – e le bellissime lantareddas colorate in vetro di Murano per accogliere la processione dopo il tramonto rischiarando le vie sino alla chiesa parrocchiale.
Oltre a creare un’atmosfera suggestiva, questo percorso luminoso sembra rimandare simbolicamente al miracolo avvenuto a Costantinopoli, dove secondo la tradizione bizantina la Madre di Dio era apparsa a due ciechi e, conducendoli al suo santuario, aveva ridato loro la vista, mostrandosi a pieno titolo come “Colei che indica la Via” anche a chi non sa vederla, portando grazie e guarigioni.
Nell’antica processione di Costantinopoli il membro di una Confraternita portava l’Odigitria camminando bendato, guidato solo dall’icona, proprio per celebrare tutto questo.
Un richiamo a questo miracolo appare anche nella tradizione di Gavoi, dove si dice che Odigitria significa “via della luce”. La luce può naturalmente essere intesa sia in senso materiale, come nel caso dei due ciechi, sia in senso spirituale come nel caso della conversione del carceriere.
Gli stessi archi di Villasor possono essere ricondotti al simbolismo della via e sono presenti in altri luoghi dedicati alla Madonna d’Itria, come la Crypta Neapolitana nel capoluogo campano. Il concetto di “via” ha portato i devoti a invocare la Madonna d’Itria anche come guida e protettrice dei viandanti e dei pellegrini.
La Madonna d’Itria ha ispirato pure il culto di Nostra Signora del Buoncammino importato in Sardegna verso la metà del Cinquecento dai monaci agostiniani spagnoli, che le dedicarono alcune chiese e istituirono le associazioni dei viatores, i viandanti e i carradores, i carrettieri, particolarmente esposti ai pericoli della strada.
Infine una curiosità: l’idea di Chiesa sinodale, fortemente promossa da papa Francesco che ha anche voluto il Sinodo attualmente in corso, nasce dall’espressione «compagni di via» – in greco synodoi – utilizzata all’inizio del II secolo da sant’Ignazio di Antiochia in riferimento ai primi cristiani e al loro camminare insieme.
In Sardegna è ancora oggi un cammino in compagnia della Madonna d’Itria, un viaggio che continua a superare le barriere del tempo e dello spazio.
Immagine: Icona processionale di Maria Odigitria tra i profeti, 1512-13, Valacchia (Romania), in fonte web: Wikimedia Commons.