Nell’articolo precedente è stato intravisto un parallelo tra i 40 giorni del post-parto e i 40 giorni della Quaresima: in entrambi i casi si può parlare di un tempo di purificazione interiore e di passaggio verso una nuova condizione di vita. Ma le similitudini non si fermano qui.
Infatti, da una parte, la Quaresima riprende i 40 giorni di Gesù nel deserto, dove incontra il diavolo che prova a tentarlo, e dall’altra parte i 40 giorni del puerperio sono contraddistinti nella tradizione isolana dalle insidie del diavolo che vuole nuocere alla neomamma e si apposta perfino sotto il suo letto. Questo particolare tema si ricollega pure a quella “umbra mala” che negli antichi racconti popolari accompagna la puerpera sarda, mostrando come già visto una interessante analogia con la definizione di “male oscuro” attribuita alla depressione, quasi a suggerire una conoscenza popolare antichissima di quel baby blues che oggi sappiamo colpire il 70% delle puerpere. Al tempo stesso le visioni demoniache connesse all’atto del parto, descritte nella tradizione orale sarda, evocano per analogia due testi biblici i cui significati potrebbero essere stati “inculturati” dalla fantasia popolare.
Il primo testo è la profezia su Eva, la “madre dei viventi”, riguardante l’inimicizia che ci sarà tra lei e il serpente (figura del diavolo) e sul fatto che quest’ultimo insidierà sempre il calcagno a lei e alla sua stirpe (Genesi cap. 3).
Il secondo testo è quello tratto dal cap. 12 dell’Apocalisse, in cui si descrive il parto della donna celeste minacciata dal dragone (altra immagine del diavolo), che si mette davanti a lei per divorare il bambino appena nato, e vengono salvati entrambi da Dio. Più avanti si legge: “Allora il drago si infuriò contro la donna e se ne andò a far guerra contro il resto della sua discendenza, contro quelli che osservano i comandamenti di Dio e sono in possesso della testimonianza di Gesù”.
La donna e la sua stirpe sono intesi simbolicamente sia come figura di Maria e di suo figlio Gesù, sia come immagine della Madre Chiesa che mette al mondo i cristiani attraverso il battesimo, poiché in entrambi i casi si tratta di una lotta contro il male che causa dolore e morte nella storia umana, ma nella devozione popolare isolana questo conflitto con il diavolo potrebbe essere stato esteso a tutte le puerpere.
Nel medesimo capitolo dell’Apocalisse, poi, c’è un altro passo che suggerisce l’idea di un ritiro post partum simile a quello osservato dalla puerpera sarda: è il testo in cui si dice che la donna celeste, dopo aver partorito, fugge dal diavolo e si ritira “nel deserto ove Dio le aveva preparato un rifugio perché vi fosse nutrita per 1260 giorni”, numero che può essere espresso anche in 42 mesi, così da richiamare il tema simbolico del quaranta. Un periodo che nella Bibbia indica un tempo di grande prova dei santi contro la persecuzione del diavolo e dell’anticristo (Apocalisse 11; Daniele 7 e 8, Luca 4,25 e Giacomo 5,17).
A questo proposito si può notare che, nell’antica benedizione liturgica rivolta alla neomamma alla fine dei 40 giorni di puerperio – “s’incresiai”, definita anche un “entrare in santità” – vi sono parole che invocano una protezione spirituale: infatti il sacerdote si riaggancia alla frase finale del Padre Nostro, “liberaci dal male”, e prega per la puerpera affinché “il nemico non riesca ad avvicinarsi a lei” e i presenti rispondono “e il figlio dell’iniquità non arrivi a farle del male”. Nel linguaggio cristiano “il nemico” è un altro modo di chiamare il diavolo e “il figlio dell’iniquità” è un sinonimo di anticristo, termine che indica non solo chi è antitetico a Cristo, ma anche tutto ciò che vi si oppone in modo sistematico (vizi, ideologie, ecc).
Del resto, secondo i commentatori del libro dell’Apocalisse, l’immagine della partoriente esprime proprio la lotta del bene contro il male che si realizza nella storia umana: una simbologia interessante non solo sul piano universale ma anche sul piano quotidiano, come se le madri avessero un ruolo attivo in questa battaglia, e in effetti l’educazione dei figli ha conseguenze anche etiche, sociali, culturali.
Logicamente per la puerpera cristiana il diavolo non è un’allegoria, bensì una realtà su cui riflettere e con cui fare i conti non solo durante il post-parto, anche se nei racconti sardi sembra assumere una singolare rilevanza proprio nei 40 giorni del puerperio: ciò potrebbe esser letto in relazione agli stati d’animi provocati dal baby blues, soprattutto se si pensa al particolare discernimento esercitato dai primi monaci del deserto.
Secondo questi monaci bisogna vigilare su otto tipologie di pensiero/atteggiamento negativo – il cui riconoscimento avviene anche tramite la domanda di ispirazione evangelica: «Ad ogni pensiero che sorge in te, dì: ‘sei tu dei nostri o vieni dal nemico’? E certamente egli confesserà» – e ognuno di questi pensieri, di fatto, può anche essere un campanello d’allarme per l’insorgere di una depressione: primo fra tutti il rapporto con il cibo (la gola), che oggi può far pensare al problema dei disordini alimentari, ma anche l’ira (l’irritabilità e gli sbalzi d’umore), l’accidia (che riguarda anche la minore iniziativa personale, tipica degli stati depressivi) e, in maniera ancora più palese, il pensiero negativo della tristezza che, come dicono i monaci, è capace di generare amarezza, risentimento, disperazione.
Per il monachesimo cristiano, il deserto è lo spazio dove si lascia tutto per conoscere se stessi e Dio secondo la propria vocazione religiosa, così come l’allontanamento dal mondo vissuto dalla puerpera poteva essere considerato una sorta di deserto allegorico, uno spazio di incontro con se stessa in relazione alla sua vocazione materna, ai cambiamenti e alle prove da superare, alle sfide da vincere. Gesù stesso, nei suoi quaranta giorni trascorsi nel deserto, conosce “ogni tentazione” che dovrà affrontare nella sua missione, ne riconosce le lusinghe ingannevoli, indica come vincerle.
In modo analogo, per ogni individuo, il deserto è il simbolo delle proprie convinzioni, in cui ciò che è giusto deve essere separato da ciò che è sbagliato; è simbolo dei propri desideri, talvolta nocivi per sé stessi e per gli altri, e anche delle gioie che si alternano ai dolori. Attraversare il deserto equivale simbolicamente a riconoscere tutto questo, guardarlo in faccia e rinnovare l’impegno a vincere ciò che ostacola la propria libertà interiore e impedisce la purificazione del cuore.
In quest’ottica appare davvero emblematica la puerpera nel deserto, che rifugge dal diavolo e viene nutrita da Dio nel libro dell’Apocalisse: un’immagine che ha una corrispondenza suggestiva con quella evangelica di Gesù nel deserto che, dopo aver vinto il diavolo, viene servito dagli angeli.
I 40 giorni del puerperio, alla luce del “non-luogo” del deserto, sembrano così assumere un respiro universale e in un certo senso paradigmatico di ogni purificazione, così come di ogni lotta quotidiana tra il bene e il male, da cui nascono gli uomini nuovi e le donne nuove, ma prima ancora le madri nuove che li renderanno tali.
Immagine: Apocalisse nel breviario di Enrico II, Il drago minaccia la donna (1000-1020), Bamberga, Staatsbibliothek.