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Da “Idas” a Paschixedda”, è il dicembre in Sardegna. (42)

Sardegna simbolica - Una rubrica dedicata alla spiritualità del popolo sardo

Dicembre, il calore delle feste

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Di Lorella Marietti

Il nome “dicembre” deriva dal latino decem-dieci, poiché era il decimo mese dell’antico calendario romano, ma nella lingua sarda è chiamato in diversi altri modi, tra cui Mes’e Idas.

 

Gli studiosi hanno spesso ricollegato il termine sardo “idas” alle “idi” del calendario romano, ossia il tredicesimo o il quindicesimo giorno del mese, nonostante questa interpretazione manchi di un legame concettuale con quello che è diventato l’ultimo mese dell’anno.

 

Secondo altri studi più recenti, invece, il termine sardo “idas” deriverebbe dalla radice indo-europea “idh”, da cui il termine sanscrito “edhas” che indica un legno da ardere, ma anche il verbo greco “aitho” che significa accendere, ardere e splendere.

 

Questa interpretazione appare più significativa perchè evoca un’antica tradizione sarda molto rappresentativa di dicembre, tanto che potrebbe spiegare la scelta di farla diventare il nome del mese stesso: si tratta di su troncu de xena sa cotzina de xena, il ceppo natalizio che veniva acceso nel caminetto la notte della vigilia di Natale e che doveva ardere per tutto il periodo festivo, fino all’Epifania.

 

In quest’ottica il nome Mes’e Idas, considerato nell’accezione etimologica del legno da ardere, indicherebbe il mese del ceppo natalizio, la cui accensione e il cui continuo risplendere esprimevano tutta l’importanza del focolare sardo come centro delle feste in famiglia.

 

Il ceppo veniva acceso la vigilia del 24 dicembre, il primo giorno festivo del periodo natalizio, quando tutti si ritrovavano per trascorrere insieme le festività: gli emigranti e gli studenti che facevano ritorno a casa, i pastori che scendevano dai ricoveri di montagna o rientravano dalla transumanza, i bambini che erano in vacanza dalla scuola.

 

Il fuoco del ceppo diventava il fulcro stesso della famiglia sarda e il cuore pulsante delle festività natalizie, simbolo della convivialità e del ritrovo multigenerazionale.

Davanti al fuoco si condivideva il buon cibo, gli anziani raccontavano aneddoti e storie ai più piccoli e ci si intratteneva volentieri con il gioco: i bambini con una trottola chiamata su Barrallicu, gli adulti con Set’è mesu e naturalmente sa Tombùla tutti insieme.

 

Così la notte della Vigilia, chiamata anche Sa nott’è e xena”, la notte della cena, era il momento dell’anno in cui tutta la famiglia era finalmente riunita a tavola, davanti al ceppo scoppiettante appena acceso, vegliando in attesa della Mezzanotte. Al riguardo si può osservare che il termine sardo “ida” è anche tradotto con “veglia”, infatti nel vocabolario Sardo-Logudorese/italiano di Pietro Casau, si legge: “ìda = veglia. Mese de ’idas, dicembre”.

 

Non sarebbe allora strano se un evento così centrale per la famiglia sarda avesse dato il nome al mese in cui si svolgeva, quasi a rappresentare l’essenza stessa di dicembre, tanto più che il Natale celebra con la nascita del Bambino anche la sacralità della famiglia.

 

Inoltre il tema della luce, di cui il ceppo era portatore, ritornava potentemente nelle parole della Messa di Mezzanotte, chiamata “Sa Miss’è Puddu” (la Messa del primo canto del gallo), appuntamento irrinunciabile non solo per festeggiare la Notte cristiana per eccellenza, ma anche per rivedere amici e parenti lontani e per pregare per la salute delle donne incinte.

 

Si può pure notare che il passaggio etimologico Idas – legno da ardere –ceppo natalizio” non sarebbe insolito poiché presenta delle somiglianze linguistiche con la Vigilia di altri popoli: ad esempio il lituano kalėdos, che significa letteralmente “sera del ceppo”, il croato badnjak che vuol dire sia “vigilia” che “ceppo”, o anche il toscano “Festa di Ceppo” per indicare la vigilia di Natale. Invece in Germania il ceppo natalizio è chiamato Christklotz, Christbrand o Christblock con esplicito riferimento cristiano.

 

Il rituale di accendere il ceppo è infatti una tradizione diffusa in tutta Europa (ha anche ispirato il tipico dolce al cioccolato chiamato “tronchetto di Natale”) e ha origini che si perdono nella notte dei tempi, legate all’aumento della luce dopo il solstizio del 21 dicembre, quando le giornate riprendono gradatamente ad allungarsi.

 

In questo contesto la nascita di Cristo «luce del mondo» (Gv 8,12; 9,5) e «sole di giustizia» (Ml 4,2) rappresenta dal punto di vista cristiano non solo una liturgia cosmica – e domestica nei propri focolari – ma rivela anche il senso profondo degli antichi festeggiamenti pagani che, celebrando il sole bambino, anelavano senza saperlo al vero «sole che sorge dall’alto» (Lc 1,79).

 

Del resto la possibile anima natalizia del nome Mes’e Idas si combinerebbe bene con gli altri nomi sardi di dicembre: Nadali, Nadabi e Nadale, termini chiaramente natalizi; Mes’e Paschixedda e Pasca de Nadale, nomi che si rifanno al termine “Pasqua” in linea con la tradizione bizantina che collega spiritualmente le due solennità cristiane.

 

Infatti per i cristiani d’oriente “Natale è (già) Pasqua” sulla base di un parallelismo teologico tra la nascita di Gesù e la sua morte. In modo analogo la tradizione campidanese utilizza l’augurio “Bonas Pascas!” durante le festività natalizie. E lo stesso paragone pasquale lo si ritrova nel ceppo natalizio che viene acceso nella zona algherese, chiamato tu frone de nadal: si tratta di un tronco d’ulivo, l’albero simbolo del Getsemani e della Passione di Cristo.

 

Millenni di meditazioni spirituali e di simbolismi profondi che in Sardegna appaiono condensati in poche semplici parole e in piccoli gesti rituali.

 

Immagine: Focolare sardo, foto di Francesco Montis in fonte web: Flickr.

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