di Regina Serrittu
Ciao Bob, cosa ci racconti a proposito della tua arte, da dove sei partito?
Ciao a tutti! Siamo vicini a un quadro come due margherite, io in realtà prima delle margherite sono partito da un periodo astratto dove chiudevo gli occhi e lasciavo correre la mano, quello che usciva, usciva, poi prendevo il quadro, lo giravo finché non ci vedevo una figura e da lì poi sviluppavo fino a dargli una sorta di senso. Poi ho avuto un periodo, quasi continuativo, in cui mi sono dedicato alla pittura, sempre per me, dove dipingevo a casa mia con mia madre, che fa la sarta, che era sempre lì che guardava, osservava e mi dava consigli e disegnavo. Dipingevo due che si baciano, e cercavo la donna della mia vita, tramite la pittura. E’ arrivato di tutto e di più, fuorché quella giusta e allora quando disegnavo queste cose a volte rimanevano degli spazi dove dicevo “e qua cosa ci metto?” E ci mettevo delle margherite perché era facile da fare ed era rilassante. Faccio un altro quadro, faccio una barca, c’erano degli spazi vuoti, “cosa ci metto?” Margherite, sempre margherite, tipo brodo, Giovannino col brodo. Un giorno mia madre mi dice: “Possibile che vedi solo margherite, cambia fiore!” Come disse questa cosa, un po’ per andarle contro, d’allora in poi misi le margherite ovunque. I miei dipinti, anche se non saranno niente di che, però per il fatto che ci sono le margherite, li assoceranno a me! Quindi, ridendo e scherzando, inizio a infilare queste margherite dappertutto; e mi davano comunque un senso di allegria, di spontaneità, naif. Erano semplici e mi divertiva l’idea che qualcuno si fermasse a guardare questo artista, si aspettasse chissà che cosa e poi facevo le margherite e dicesse “Ehhh!”
Ma c’è qualche pittore in particolare che ti ha ispirato?
Mha… Picasso, Matisse, Miró, l’espressionismo, i Fauves, la Pop Art, l’astrattismo di Mondrian, l’eleganza di Modigliani e Renoir, ma anche da Kheit Haring, Mordillo, Jacovitti, Cavandoli. Influenze meno recenti, ma non meno importanti, sono alcuni cartoni animati della mia infanzia; da Temistocle, non so se ve li ricordate… i Barbapapà, Viky il Vikingo e le splendide serie di Hanna-Barbera e Looney Tunes, per i paesaggi colorati, per l’ottimismo di alcuni e per la giocosità e l’ironia di altri. Amo Pollock e, tra i contemporanei, guardo i Koons, Murakami, Rizzi, Veneziano. E ancora tutto ciò che mi faceva ridere. Benito Urgu è all’apice di tutto, le sue barzellette, le cose, anche le candid camera, Macario, tutta la TV che guardavo dalla Svizzera.
Vediamo, invece, qualcosa che riguarda gli animali. Ci spostiamo un attimo e osserviamo, per esempio, le mucche, i pesci. Cosa ci racconti a proposito di questo tuo particolare e originalissimo filone?
Questa opera d’arte, dove c’è una zebra che esulta in mezzo all’acqua, fa parte di una mostra, secondo me, una delle più importanti che ho organizzato a Roma, all’ex pastificio “Cerere”. Ho fatto questa mostra che si intitola “Vacquarius”, quindi ci sono le vacche, o le mucche, che nuotano sott’acqua e incontrano di tutto e di più e si divertono a ridere, a fare dei selfie sott’acqua e quindi è sempre un inno alla follia, alla follia creativa, quella che non fa male a nessuno. Lo sdrammatizzare la vita, passarsela ridendo, tanto poi non ci resta che piangere o che ridere…andiamo sulle risate che mi fanno stare meglio e mi tengono gli anticorpi più attivi.
Qua invece troviamo un gufo, che vedo come appartenente ad un periodo un po’ più spento della tua produzione… o mi sbaglio?
Ti sbagli! Questo dipinto appartiene ad una mostra che ho fatto a Milano, ma in realtà ho fatto una fiera che si chiamava “Affordable art Fair” dove ho elogiato una serie di artisti contemporanei e moderni. Qua c’è questo gufo che ho fatto perché doveva riprendere la cornice e dietro c’è un quadro di Rothko (non so se l’ho pronunciato bene) che è stato il quadro venduto a Christie’s con la cifra più alta, un paio di milioni di dollari, e mi piaceva l’ironia di avere questo quadro famoso col mio gufo dietro o davanti che rimandava l’attenzione su questo artista, anche perché questo fa parte di una linea di quadri che sono un po’ sparsi.
Vediamo anche questa scritta, “Love”…
Si, è un omaggio a Robert Indiana, l’artista americano che è venuto a mancare un anno fa circa. E’ la famosa scritta che si trova a New York, “LOVE”, la scultura, dove lui faceva le O storte, usando questo carattere americano. Mi piaceva l’idea di scrivere “BOB ART”, e per renderlo quadrato mi sono inventato “NEW”. Quindi è un elogio a questo artista, che mi piace molto.
E contemporaneamente alla tua arte…
Si, diciamo pure anche alla mia arte
Cosa ci racconti a proposito di questo asinello?
Una scultura che riprende il Putto di Bruxelles, quell’angioletto, quel bambino che fa la pipì dall’alto e anche una nota casa farmaceutica ha ripreso quel bambino. Il mio sogno è riuscire a fare delle fontane, vorrei fare fontane, infatti si chiama Federico Fontana. Mi mette allegria l’idea che faccia lo zampillo così.
Invece in quest’altro quadro noto il sole, il mare, il cielo rosso. Evoca l’estate?
Si volendo… il sole è rosso, cioè mi immaginavo questo sole che stava guardando le mucche nuotare e ad un certo punto è caduto in acqua e se la ride anche lui. Quindi, quando ho fatto la mostra, c’erano molti blu e volevo dare uno stacco con un colore diverso. La mente dell’artista, a volte, va oltre la logica. La nostra insegnante Maria Antonietta Motzo avrebbe detto: “Si vede benissimo che qui l’artista voleva dire chissà che cosa”… In realtà il mio ragionamento è molto più semplice; ci metto un po’ di verde con il rosso mentre faccio il cielo, un tramonto. Intanto le mucche nuotano e se la ridono.
Invece come mai questi denti enormi, gli occhi grandi e tondi che sono quelli che spiccano maggiormente….?
Gli occhi tondi li riprendo un po’ da Mordillo, un artista filo spagnolo ancora operativo. Faceva, e fa tuttora, questi occhi con il puntino nero dentro. Io volevo un occhio che fosse un po’ più accattivante, un po’ più partecipante con lo spettatore. Volevo uno scambio tra il quadro e chi lo osserva. I denti li ho presi un po’ da Jacovitti… forse, non lo so. Prima facevo tutti gli animali sorridenti, poi mi sono detto: “Chissà come sono quando ridono”… E da lì sono partito per vedere come usciva la dentatura e mi metteva buon umore. Mi capitava spesso di dipingere, quando ero di malumore, e a furia di dipingere sorrisi mi ritornava il buon umore, quindi mi son detto: “Questa cosa è terapeutica, andiamo avanti.”
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