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IL SUGGERIMENTO DI CONFUCIO (13)

NOTIZIE DAL MONDO - Un riepilogo ragionato delle notizie del mondo

Notizie dal Mondo

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Di Nicola Rubiu

In perenne attesa che la periferia si congiunga definitivamente al centro, come da prassi rivoluzionaria che vede cadere nell’anno domini 2049 il momento in cui l’isola di Taiwan tornerà ad essere cinese, per altro senza esserlo mai stata, ma certamente con le buone o le cattive, Pechino osserva con sguardo felino il susseguirsi degli eventi nel mondo, primariamente quanto accade in Ucraina dal 2022, punto geografico dello scontro tra russi e americani sulla pelle nostrana e ucraina, fulcro della potenza di Washington nel mondo, per colpire quando meno gli altri se lo aspettino, e cosí risalire la vetta del mondo.

 

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Fissi sul momento contingente, non plus ultra in cui ogni essere umano è incastonato dacché impossibilitato di scorgere il futuro dunque quanto accadrà dopo, russi e americani sono bloccati sul fronte ucraino, Europa ulteriore da cui aquila e orso si studiano, limes invalicabile in formato di deterrenza nucleare: sigillo degli ultimi otto decenni di pace. Impauriti da una fine funesta e forse decisiva per le sorti di quel che resta dell’impero, russi e sodali sfidano l’altra parte del mondo per non soccombere, lì dove pedagogia nazionale, pilastro di ogni palingenesi storica, insegna fin da scolari che Ucraina è culla della civiltà a cui si appartiene, topos tanto nell’immaginario quanto concreto nella realtà geografica, da difendere e impedire scada verso influenza altrui, con possibile effetto domino sull’immenso puzzle che tuttora compone l’ex spazio sovietico. In fiorentino: che la Russia diventi soggetto convenzionale. Offesi un’altra volta da un occidente bugiardo, reo di aver mentito nelle proprie intenzioni, Russia volge lo sguardo a Oriente: per tenersi ancora a galla, offrendo a Pechino ciò che Mosca ha senza che venga prodotto, materie prime fondamentali contro le sanzioni, e soprattutto gas scontato, speranzosi che Pechino capisca senza infuriare Washington.

La Repubblica Popolare intanto osserva, profittando dello stallo, dopo che il disegno sulle nuove Vie della seta è stato per il momento bloccato, ormai troppo sotto gli occhi di tutti, in Asia dove non si hanno alleati. Cavalcare le complicazioni altrui per prendere tempo, studiare tatticamente gli avversarsi in attesa della bonaccia: perfetta sintesi confuciana, scambiata dalle genti di qui in versi da economicismo, quasi la Cina fosse interessata al materialismo capitalistico per sconfiggere la povertà, diventando cosí noi. Sbaglio abbagliante, che ancora ci fa credere l’11 settembre evento dirimente della storia, dimentichi della portata più vasta di un altro giorno, questo si centrale per cogliere l’oggi.

Pechino si affaccia agli scambi internazionali il dí 11 dicembre 2001, con nullaosta americano al WTO, definitiva espansione del dollaro in ogni angolo del globo. Sconfitto infatti l’orso in veste sovietica, dopo aver scientemente distrutto la propria manifattura interna cosí da condurla per il mondo, strumento imperiale uso all’egemone per tradurre a se clientes in tempo di pace, la Cina ben si prestava, principale attore nel teatro asiatico, a divenire fondamentale per Washington, in sintesi: espansione americana sostenuta dal PIL asiatico, fabbrica del mondo, ma secondo massima napoleonica per cui “mai fermare il nemico quando sbaglia”. Paghi di tanto raggiungimento i cinesi coglievano l’opportunità anzitutto di curare le secolari ferite interne, che contrapponevano la costa ricchissima, perché unica zona della regione ad essersi storicamente affacciata ai commerci, ad un entroterra medievale, ma custode della storia imperiale del Regno del Centro (in mandarino, termine con cui si indica la Cina), erede della rivoluzione, preoccupata di evitare che gli affacci al mare diventassero terra di conquista occidentale, cosa che prontamente accadde. Secolo delle umiliazioni, da quando le guerre dell’oppio (1839 – 1860) segnarono lo sfaldamento dell’impero in tante parti per volere delle potenze europee, fino all’anno zero della rivoluzione maoista (1949): fallimento plateale via chiusura autarchica al mondo fuori, che costringerà l’erede di Mao, Deng Xiaoping, alla necessità di riaprire la Cina, per paura di soccombere nella sua stessa storia, eccessivamente impoverita, col rischio di implodere.

Ma pure ora Pechino è in ontologica difficoltà: in vertiginoso invecchiamento, momento esistenziale di ognuno quando, smessi i panni dell’intemperanza adolescenziale, ci si accorge cantori delle dolcezze terrene, stanchi di anelare la conquista del mondo in favore di una maggiore tranquillità, l’impero del centro si riscopre decadente, ancora non pronto alla sfida finale (?), in molteplici dimensioni, afflato scambiato in Europa come superfluo, al posto del ragionamento per cui la Cina sia ad un respiro dalla vetta, semplicemente per calcolo economico. Meglio allora arretrare, senza esuberanze, piuttosto guardare lo scorrere degli eventi, che vede avvicinarsi russi e americani in Ucraina per profittare della distrazione dei primi e sfruttare le forze dei secondi, in attesa che l’oracolo vaticini tempi migliori. Solo in tal caso la dirigenza mandarina si sentirebbe paga del contingente che si dipana ai suoi occhi, optimum raggiungibile attraverso il dilatarsi delle ostilità ad infinitum, possibilmente con un cessate il fuoco ma solo sotto mediazione di Pechino, puntellando Washington lontano dal giardino di casa ma evitando l’implosione di Mosca.

Incubo oggi delle steppe, dove il Cremlino vuole vendere cara la pelle, per salvare quel poco che ormai resta del glorioso passato, dolce illusione a cui la storia chiama ogni collettività imperiale, ignara della fine, pensandosi capace di schivarla. Pure demograficamente anziano anche esso, l’Orso avanza nel Donbass ucraino, territorio ormai conquistato, cosí da sventolarne la titolarità al momento del negoziato, nonostante le enormi difficoltà dell’impresa: conseguenze nefaste, ad oggi insostenibili se gestite in solitaria, e che infatti costringono i russi a guardare verso la Cina, Oriente ormai temuto e deminutio resa nel riconoscimento moscovita in qualità di socio ancillare, servo al servizio del padrone, perché ricco di materie prime fondamentali per scontrarsi contro l’egemone americano, costretto Putin a dichiarare Taiwan territorio mandarino senza però essere corrisposto da Xi intorno alla Crimea, per i cinesi isola ancora non russa, conquistata illegalmente.

Offesa indicibile agli occhi di Mosca, che da secoli guarda ai territori siberiani come terre di conquista, da cui scacciarono quelli che i russi amano definire “occhi stretti”: impresa compiuta tre secoli fa, arco temporale che pare battito di ciglia per i mandarini, convinti che i bianchi debbano prima o poi liberare tanto spazio, perché cinese, dunque occupato abusivamente da terzi, e perché bacino di ricchezze necessarie al sostentamento. Pura orticaria per una collettività indoeuropea e appunto bianca che ha sempre traferito il proprio razzismo contro le genti orientali, tanto che dopo la sua prima visita nella Repubblica Popolare, l’allora segretario sovietico Nikita Krusciov avrà a dire: “L’atmosfera era tipicamente orientale. Tutti cortesi e accondiscendenti, mossi dall’ipocrisia della cultura locale. Ricordo di essere rientrato a Mosca e di aver detto ai miei compagni che lo scontro con la Cina è inevitabile”. Certo i russi non ricordavano un impantanarsi cosí dai tempi in Afghanistan, quando mamma America riesce nell’intento di dividere le tribù pashtun per scagliarle contro Mosca, poi gemmazione negli anni Novanta dei terroristi di al-Qaida; eppure oggi anche Washington si sente soffocare in Europa, tra sodali riottosi e russi revanscisti, riuscendo nel sostegno militare a Kiev senza per questo essere trascinata nel conflitto, con zero perdite. Ciononostante il prolungamento della belligeranza costa troppo alla strategia: strabismo da egemone che fino a poco tempo fa era capace di entrare a piedi uniti nelle crisi internazionali, oggi invece stanco e preso dalle proprie divisioni interne, in perenne stato di tensione nel Pacifico dove crede prima o poi si terrà lo scontro finale. Non dunque in Europa, ma comunque costretto a faticare in entrambi i quadranti, con ridotto margine di manovra. Meglio pertanto campare di frugalità, centellinare la propria forza solo dove se ne intravede l’urgenza, possibilmente inviando altri, governando da dietro: esattamente la necessità che avverte ogni impero quando la sua sovra estensione ha raggiunto un climax pericoloso, da far venire le vertigini. Equazione dell’oggi, e che segnerà le nostre esistenze nei prossimi decenni, col rischio di implodere in una nuova guerra, sarà dunque il tentativo americano del dividi et impera, giocare russi e cinesi contro, per staccare i primi, più deboli, contro i secondi, in questi anni stranamente coppia poco incline ad amarsi ma che ha iniziato ad intendersi aventi Washington e sodali quali avversari in comune, per modificare il gioco, anelando la sostituzione dell’egemone, emblema post guerra fredda del nuovo Occidente.

Cambio di paradigma già iniziato nel 1971 ma a parti inverse, quando il segretario Kissinger, Nixon presidente, volerà a Pechino nel tentativo di staccare i cinesi dai russi, sperando potesse significare l’inizio della fine per l’Unione Sovietica. Momento in cui la Repubblica Popolare non si preoccupava dell’invecchiamento, struttura della collettività sconosciuta ai mandarini di fine secolo scorso, che vantavano infatti una età mediana di quasi diciotto anni, frattura generazionale che contrapposta agli anziani diventa pericolosa per la tenuta di un paese cosí popoloso e territorialmente immenso, perché ingestibile. Allora Mao rispose ad un acutissimo Kissinger, emozionato di poter parlare per la prima volta con il padre della patria cinese, a cui chiese con disinvoltura quale fosse il più grande problema della Cina: “Siamo molto poveri ma abbiamo donne in abbondanza”, provocando cosí il riso dell’ospite, tra il divertito e l’incredulo.

Ed eccoci cinquant’anni dopo la beffa della Storia, per capovolgimento della situazione. Nel medesimo arco temporale la Cina è il soggetto più abitato del pianeta, ma con una popolazione in diminuzione e notevolmente invecchiata, arrivata ad una età media di quaranta anni, chiamata alle armi quasi impossibile da soddisfare se si vuole affrontare l’egemone, per contro ancora giovane, capace quindi di sostenere i rischi e le fatiche del momento bellico. Col rischio di diventare prima senile che superpotenza, e che con se accompagna il male assoluto dei mandarini, ossia l’allargarsi del clivage tra costa ed entroterra, foriero di instabilità interna, minaccia capace di annullare qualsiasi vettore di influenza verso l’esterno. Nel 1917 Mao si innamorò del socialismo marxista perché ritenuto capace di far presa sulle quelle classi più povere che in Cina abitavano proprio le campagne interne, per questo custodi dell’identità dell’impero del Mezzo, aventi la forza di costringere a se le coste eccessivamente scadute nelle dolcezze tipiche della vita benestante, in tentazione di rinnegare l’unità di un popolo consideratosi millenario e per questo autoreferenziale, incantate dal sogno occidentale. Massimalismo da sfruttare via economia pianificata, arma capace di spuntare le alterità della parte riottosa al ricongiungimento, anelante dimensione estranea alle miserie del quotidiano, alla ricerca della potenza.

 

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In vertiginosa difficoltà, la Repubblica Popolare cerca oggi di muoversi speranzosa di non essere colpita direttamente, in sordina, occupando spazi ora lasciati vuoti per altrui volontà o distrazione, sopperendo cosí alle proprie mancanza interne. Senza pudore, la Cina rivendica il Pacifico, cercando di intessere rapporti con i vicini e sfruttando la ricchezza derivante dagli scambi commerciali per irrobustire la forza militare, in attesa di un possibile scontro, ma senza essere titolare di propria sfera di influenza, col rischio che, implodendo per l’eccessivo sforzo, diventi essa stessa parte di una altrui; anela a espellere dall’Asia Centrale i russi bianchi abusivi considerati coloni da quelle parti, perché occupanti illegalmente terre dell’impero del Mezzo, bacini di materie prime di cui l’immensa popolazione cinese dovrà usare e cibarsi quando il momento diverrà difficile, per non soccombere e smentire almeno una volta la Storia. Scontro del secolo, che deciderà chi tra Stati Uniti e Repubblica Popolare toccherà le stelle, se il secondo riuscirà nell’impresa di scalzare il primo dal trono, eppure scenario ancora oggi di là dall’avvenire.

Ma Confucio suggerisce saggezza, stare ancora a guardare per godere dei dividendi negli scontri infiammanti il tempo dell’oggi, profittando del caos per indebolire l’avversario, per coglierne le deficienze, e tradurre a se chi vorrà essere parte della crociata contro Occidente, entità colpevole dei mali del passato.

Con noi ad osservare, increduli dinnanzi la caduta dei giganti.

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