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NOTIZIE DAL MONDO (12)

Un riepilogo ragionato delle notizie del mondo

Notizie dal Mondo

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Di Nicola Rubiu

TEHERAN, UCCISO CAPO POLITICO DI HAMAS

 

L’uccisione del numero uno di Hamas, Ismail Haniyeh, avvenuta a Teheran nella notte del 31 luglio dove questi soggiornava invitato alla cerimonia di insediamento del nuovo presidente della repubblica islamica Masoud Pezeshkian, ha scosso non solo il partito paramilitare palestinese, che vede cosí meno la sua figura politica principale, ma pure quei soggetti, in primis l’Iran, che utilizzano la causa palestinese stessa come vettore antioccidentale in modo  tale da coalizzare il noto “asse della resistenza” contro Israele. Pronta è infatti stata la reazione dei pasdaran iraniani, i quali hanno registrato “una forte esplosione all’esterno della sua stanza: un progetto pianificato e portato a termine  dal regime sionista e dal governo criminale degli Stati Uniti”. Ad accendere però ancora di più la questione è la decisione di Israele: non solo da un punto di vista puramente militare, dunque tattico, tale atto dimostra comunque le ancora notevoli capacità dello stato ebraico di difendersi, grazie soprattutto alle spiccate doti della sua intelligence e nonostante si sia dimostrato fragile e distratto il 7 ottobre, ma l’uccisione del capo politico del nemico ha inviato un chiaro messaggio anzitutto all’Iran: non solo gli iraniani stanno facendo molta fatica a foraggiare Hamas nelle sue incursioni a Gaza, ma con ciò si dimostrano le fragilità relative alla sicurezza interna della repubblica iraniana, incapace cosí di difendere anche i sodali che intende proteggere in casa sua. E vi è di più: i leader di Hamas viaggiano nel mondo con passaporto turco, essendo loro musulmani sunniti: con la morte di Haniyeh gli apparati militari israeliani hanno avvisato anche Ankara. Gli intrecci politici dietro al sostegno ad Hamas devono finire.

 

 

USA, NETANYAHU AL CONGRESSO

 

Il premier israeliano Benyamin Netanyahu si è presentato il 24 luglio dinnanzi al congresso americano per perorare le ragioni che hanno portato alla guerra di Gaza contro Hamas insieme alla richiesta di non lasciare solo lo Stato degli ebrei in questa situazione continuando cosí ad essere sostenuto militarmente e diplomaticamente. Per quanto certamente il confronto con la difficile situazione in cui invece versa il presidente ucraino Zelensky non regge, dal momento che contrariamente a questo Israele sta vincendo la guerra a Gaza sul campo, gli alti vertici di Tel Aviv percepiscono molto scetticismo tra le file della politica e dell’opinione pubblica americana, non per il sostegno militare ma per come Israele stesso stia conducendo lo scontro bellico, suscitando fortissime reazioni di opposizione nelle cancellerie occidentali, col rischio pertanto di inasprire la guerra e condurre ad una pericolosa escalation che inevitabilmente costringerebbe ad un intervento diretto degli americani contro l’Iran, scenario che Washington intende assolutamente evitare, memori di che cosa significhi rimanere impantanati venti anni in Afghanistan e con il baricentro della competizione internazionale nell’Indo-Pacifico contro Pechino, situazione che altrimenti vedrebbe gli yankee impegnati su troppi fronti. Al centro del discorso del primo ministro l’importanza di iniziare a struttura il dopo guerra, che secondo lo stesso Netanyahu dovrà vertere su quanto è stato costruito negli ultimi tre anni, ovvero gli accordi di Abramo con le monarchie del Golfo. Nell’idea di Israele infatti una vera vittoria potrà solo ristabilire l’equilibrio in favore suo e degli Usa, quindi costringere all’angolo Teheran dimostrando al mondo arabo sunnita e sopraytutto all’Arabia Saudita la convenienza di stringersi sotto la protezione israeliana contro l’Iran. Tale discorso infatti si è concentrato su questo, non venendo menzionata nessuna possibilità riguardo uno stato palestinese o soluzione di due stati, vero ostacolo alla normalizzazione bilaterale con Tel Aviv agli occhi non a caso dei sauditi stessi. Eppure alcuni democratici – tra cui la vicepresidente e candidata democratica alle presidenziali 2024 Kamala Harris – hanno boicottato l’evento non presentandosi in aula, mentre fuori dal Campidoglio si sono svolte manifestazioni contro il leader israeliano.

 

 

CINA, MEDIATORE ANTIOCCIDENTE

 

In questi ultimi giorni la Cina ha voluto far pesare la propria postura internazionale e diplomatica negli scenari che interessano la guerra in Ucraina e quella a Gaza. Non solo infatti il 23 luglio, il partito palestinese Fatah e Hamas hanno stretto un accordo di riconciliazione con il beneplacito del ministro degli Esteri Wang Yi proprio a Pechino, atto fondamentale in vista del dopo guerra a Gaza, ma il 24 luglio, a Guangzhou, Wang ha colloquiato per tre ore con il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, secondo cui Kiev è disposta a negoziare direttamente con Mosca, ma solo se questa agirà in buona fede. La delegazioni ucraina si è poi presentata a Hong Kong, per chiedere al capo dell’esecutivo John Lee  di non interferire con l’applicazione delle sanzioni contro Mosca, ossia l’utilizzo per questo del porto, da cui scorrono materie prime, tecnologia e informazioni per Russia, Iran e Corea del Nord, paesi che hanno siglato un’intesa per fare peso e indebolire i soggetti che sostengono Ucraina, Israele e Taiwan. Certo la repubblica popolare punta a essere protagonista di uno stabile cessate-il-fuoco tra Russia e Ucraina per poi definire un nuovo assetto securitario internazionale, che vede un ridimensionamento della presenza americana in Europa orientale per quanto riguarda il ruolo della Nato, l’assegnazione a Mosca del ruolo di partner di minoranza di Pechino in funzione antiamericana e il recupero dei rapporti (commerciali in primis) con l’Europa, l’Ucraina da ricostruire nel dopo guerra per  riattivare gli investimenti in loco. Non è infatti difficile cogliere il ruolo che in tutti questi scenari ha avuto Pechino: l’inasprirsi infatti delle ostilità internazionali è stata determinata dall’opposizioni cinese a che sia in Ucraina sia nel Medio Oriente di potesse trovare un’intesa, temendo che questa potesse avvantaggiare Washington, incentivando la dipendenza russa dal mercato energetico e tecnologico cinese e conducendo esercitazioni militari con la Bielorussia vicino al confine polacco e con il Cremlino nel Mar Cinese Meridionale. Inoltre, durante il vertice dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Sco) ha potenziato ulteriormente le attività infrastrutturali lungo il corridoio della Belt and Road Initiative (Bri, nuove vie della seta) passante per Asia Centrale (che il Cremlino considera propria sfera d’influenza) e Medio Oriente, visto che il ramo settentrionale è minato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. La mediazione tra Israele e Hamas serve a evitare che anche la via centroasiatica – già instabile – diventi inutilizzabile.

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