Ottobre è tradizionalmente il mese dedicato al Rosario, la preghiera mariana che si è diffusa a partire dal XVI secolo attecchendo subito e ovunque in tutte le comunità grandi e piccole, nelle città, nei paesi e nei sobborghi, presso persone di ogni condizione sociale e di ogni livello di istruzione, non solo in Sardegna ma in tutta Italia, in tutta Europa, in tutto il mondo cattolico dell’epoca, raggiungendo luoghi e abitazioni come un internet spirituale.
Una propagazione così globale e capillare da destare meraviglia, una rete di parole e immagini capace di collegare persone a distanza, unite da un forte senso di comunità e un desiderio di conoscenza nutrito dall’esplorazione dei principali eventi del Vangelo, contemplati con gli occhi di Maria ed esplorati attraverso i Misteri della Gioia, del Dolore e della Gloria.
Una vera e propria condivisione – dei valori evangelici, della devozione cristiana e dell’esperienza di fede, della vita comunitaria e delle feste liturgiche, della preghiera per sé e per gli altri – grazie a una connessione spirituale che utilizzava come “dispositivo mobile” una catenella di grani da portare sempre con sè.
In tal senso il Rosario sardo è unico nel suo genere perché diventò parte integrante dell’abito sardo femminile come un vero e proprio accessorio e spesso era composto da elementi quotidiani, come orecchini o fibbie, che fungevano da separatore e si univano così ai simboli religiosi.
La Sardegna iniziò presto a fare rete con il Rosario, del resto la passione per i collegamenti virtuali sembra far parte del DNA isolano se si pensa che la web mail è stata inventata qui, come anche il primo provider service italiano Video on line, e anche la rete dei nuraghi è stata paragonata a un internet preistorico per via dell’allineamento e della densità di queste costruzioni, ideali per offrire sistemi di comunicazione a distanza come accensione di fuochi e/o segnali di fumo.
La presenza del Rosario sardo è documentata per la prima volta nel 1497, a Sassari, nella cappella de su Rosariu della chiesa di Santa Maria di Betlem, appartenente al convento dei Francescani Minori Conventuali, mentre risale al 1517 la prima notizia di una confraternita del Santo Rosario, a Sedini, come evidenzia il saggio di Cesare Masala sullo sviluppo di questa preghiera nell’isola.
Tra i fattori che influirono sulla sua diffusione in Sardegna ci fu l’ampia risonanza data alla vittoria di Lepanto (7 ottobre 1571) in cui le flotte cristiane sconfissero la preponderante flotta turca: tale vittoria, a cui avevano partecipato secondo le notizie dell’epoca anche 400 archibugieri sardi, venne attribuita alla speciale protezione della Madonna, invocata con la preghiera del Rosario da tutti i fedeli cristiani, su richiesta del papa San Pio V.
Il Rosario pregato in quegli anni, che era già lo stesso di oggi, non era nato da un giorno all’altro e neppure era frutto dell’intuizione di una sola persona, ma si era formato e strutturato per tappe, nel corso dei secoli, con il concorso di moltissime persone, a partire dal Salterio (il Libro biblico dei Salmi) recitato dai monaci cristiani del III-IV secolo, diventando nel corso del tempo il “Salterio di Padre nostro” e il “Salterio di Ave Maria”, poi il “Salterio di Cristo” e il “Salterio della beata Vergine Maria”, acquistando così un senso sempre più cristologico e mariano, fino a trasformarsi nel Rosario vero e proprio.
Un processo graduale e incrementale di partecipazione allargata che, continuando il gioco delle analogie, richiama lo stesso schema di sviluppo di internet avvenuto anch’esso per gradi e per opera di diverse categorie: ingegneri, sviluppatori di tecnologie (i primissimi informatici), docenti e ricercatori universitari, manager di aziende come IBM, Cisco Systems e Microsoft, ognuno svolgendo la sua parte nella creazione e diffusione della nuova rete.
Nel caso della rete del Rosario, la preghiera è stata ideata, assemblata, plasmata e implementata, nonché diffusa, da diverse tipologie di “specialisti” (santi, teologi, devoti), sia monaci (Certosini, Domenicani, Francescani, Gesuiti missionari) che sacerdoti (parroci e vescovi) insieme a molti fedeli (fratelli laici e conversi, confraternite, associazioni e famiglie) e anche per gli interventi dei Papi.
Tutti insieme hanno delineato il Rosario nella sua forma attuale, determinandone “hardware” e “software” (la struttura fisica e il modo di recitarlo), il tipo e il numero di preghiere, i Misteri da contemplare tratti dal Vangelo (papa Giovanni Paolo II vi aggiunse poi i Misteri della Luce), le meditazioni, i trattati e i documenti dei pontefici, ma anche le tante personalizzazioni, come ad esempio il Rosario di don Bosco (1815-1888) pensato per i giovani o, in Sardegna, su Rosariu cantadu.
Sia per il Rosario che per Internet i luoghi di “produzione” furono ambienti utilizzati per preservare e aumentare la conoscenza: il Rosario, che offriva un compendio del Vangelo anche a chi non sapeva leggere, ha cominciato a formarsi nei monasteri medievali che, oltre ad aver contribuito alla conservazione di opere della cultura classica, erano scuole di formazione dove si studiavano non solo la teologia ma pure il latino e il greco, la musica, la filosofia, ecc.; allo stesso modo i primi protocolli di rete, come ARPANET, sono stati sviluppati nelle università che hanno fornito gli esperti, le risorse e la ricerca necessarie.
Pure il concetto di “digitale” – dal latino “digitus” (dito) transitato nell’inglese “digit” (cifra numerica) – accomuna la rete del Rosario e quella informatica: nel linguaggio tecnologico il termine “digitale” è stato scelto per indicare un sistema di numerazione basato su cifre e quindi mutuato dal dito quale strumento primo con cui si conta, così come il Rosario è una preghiera che si recita con le dita, facendo scorrere i grani che corrispondono al numero delle Ave Maria da recitare, ripartite in decine e separate da un grano isolato che corrisponde al Padre nostro.
Del resto, le primissime versioni erano dei contapreghiere, ossia delle cordicelle contenenti dei nodi per tenere il conto delle orazioni, che erano 150 esattamente come il numero dei Salmi. Talvolta erano usati dei sassolini, come nel caso dell’eremita Paolo di Tebe (IV secolo d.C.).
Questo modo di pregare, basato sulla ripetizione della stessa invocazione e utilizzato dai padri del deserto nel III- IV secolo, era considerato una “preghiera del cuore”, ossia un mezzo per contemplare il Mistero contenuto nell’invocazione e raggiungere la comunione con Dio. Maria stessa, come si legge nel Vangelo di Luca, meditava continuamente nel proprio cuore le parole e le azioni del figlio Gesù (Lc 2, 19. 51).
La ripetizione dell’Ave Maria mirava ad elevare l’anima e inoltre si pensava che Maria gradisse essere invocata con le parole del saluto dell’angelo (“Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te”, cf. Lc 1,28) e rispondesse elargendo grazie speciali come era avvenuto per la cugina Elisabetta che, al suo saluto, era stata ricolmata di Spirito Santo (Lc 1,41).
Nell’isola il Rosario era recitato con l’Ave Maria e il Padre nostro in lingua sarda (Deus ti salvet Maria e Babbu nostru). Parlavano in sardo gli stessi Gesuiti missionari che illustravano i Misteri alle comunità e pregavano il Rosario insieme ai fedeli nelle parrocchiali e nelle processioni. Ancora oggi, in diversi paesi (come, ad esempio, Dualchi e Noragugume), vi è l’usanza di concludere l’Ave Maria e il Padre nostro con l’espressione “Amingésu” che fonde l’Amen con il nome di Cristo.
Nella diffusione capillare del Rosario risultò fondamentale anche il ruolo dell’antica associazione femminile denominata Recomenadas de Nostra Sennora, presente in molte parrocchie della Sardegna, che accolse subito questa preghiera e iniziò a recitarla quotidianamente, promuovendo il Rosario all’interno e all’esterno della loro associazione, nelle loro famiglie e nella comunità.
Le Recomenadas si riunivano nelle cappelle del Santo Rosario per pregare e assistere alle funzioni e usavano chiamarsi “comare de Nostra Signora o de su Rosariu” quasi avessero stabilito una forma di sorellanza sacra con la Madonna. Queste associazioni anticiparono il successivo ruolo svolto dalle Confraternite del Santo Rosario, formate da fedeli sia donne che uomini.
Ancora oggi, in moltissime località della Sardegna, continua la tradizione di queste antiche Confraternite regolate da statuti, in cui i confratelli e le consorelle si dedicano alla preghiera del Rosario e alle attività di carità fraterna, organizzano le feste mariane, partecipano alle processioni religiose e ad altre iniziative liturgiche.
Un po’ come delle piattaforme social, come delle community unite da valori e attività condivise, che attraverso la connessione spirituale mettono insieme la dimensione locale (parrocchia, quartiere, Comune) e quella globale (Chiesa, mondo, umanità).
Immagine: Dettaglio Rosario sardo (fonte: Sardegna Digital Library).